Chi entrasse in sala senza sapere nulla del film penserebbe dal titolo di trovarsi di fronte qualche sdolcinata commediola all’italiana, o una scontata storia d’amore. E invece sarebbe del tutto fuori strada perché Miele è il nome in codice di una ragazza che svolge il lavoro opposto della levatrice. Aiuta a morire. Ma non chiunque, anche lei ha un suo codice, aiuta chi è già malato, chi comunque avrebbe ancora poco da vivere.
La sua professione clandestina esige totale freddezza, vita personale limitatissima e superficiale, legami affettivi non profondi. E’ votata all’insensibilità per necessità di lavoro e anche al continuo movimento.. Viaggi in paesi lontani per procurarsi sostanze che uccidano in breve tempo e senza dolore e soprattutto viaggi per“aiutare” a morire. La sua professione esige menzogne e coperture continue ma lei pare esserci abituata e anzi arriva a difendere persino la dignità di un lavoro per molti “discutibile” come quello.
Uniche sue distrazioni le nuotate con la muta fuori stagione nel freddo mare di fronte alla sua casa, fugaci incontri di sesso con un amante sposato e la sua musica negli auricolari che la rende impermeabile alle emozioni negative procurate dal suo lavoro.
Ma l’incontro con un anziano disilluso ingegnere muterà le sue certezze in dubbi , sgretolerà la sua corazza, le farà anche togliere la sua muta ideale che la difende dai sentimenti profondi, la esporrà alla sensibilità prima sempre repressa, darà un barlume di sentimento umano alla sua vita blindata, solitaria e forzatamente quasi anaffettiva.
Jasmine Trinca , con la camera della Golino sempre letteralmente sul collo, esprime con straordinaria intensità la figura di “Miele” e la sua graduale trasformazione, l’isolamento cercato che diventa solitudine dolorosa, la muta indifferenza al dolore di chi vuole uccidersi “secondo la sua procedura” che si tramuta in una insopportabile sofferenza davanti a chi in fondo e in realtà vuole vivere.
Carlo Cecchi le fa da strepitoso contraltare, perfettamente in ruolo con la sua recitazione giustamente “teatrale” ma anche piena di sfumature; rappresenta il navigato e inaridito attore di una vita che, pur da persona sana, ormai lo annoia e in fondo al suo distaccato scetticismo appare la sua profonda umanità che scava e fa affiorare l’umanità sepolta della ragazza.
Le solitudini dei due personaggi ,così diversi eppure entrambi così disperatamente alla ricerca di affetto, si incontrano ma in quel modo pudico e pieno delle sfumature della realtà che rende le due figure credibili , piene, del tutto vere.
L’immersione nel tema drammatico, che permea tutto il film con rari allentamenti di tensione, al termine può finalmente sfociare nel sorriso liberatorio della protagonista nel poetico, lieve e dolcissimo finale che chiude questa sorprendente prima ottima prova registica di Valeria Golino.
Giulia, 10 maggio 2013
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