Δευτέρα 30 Νοεμβρίου 2015

Che cos’è la teoria/ideologia del gender? Che cosa significa genere? Che cosa sono gli studi di genere?



 Il sesso è sempre stato un tema caldo. Ma ciò di cui sono stato invitato a discutere questa sera, il rapporto tra sesso e genere, è oggi un tema incandescente, che non
soltanto in Veneto ma in tutta Italia e non soltanto in Italia sta suscitando un acceso
dibattito, o meglio un infuocato conflitto. Ad esempio, come tutti ben sapete, circa due
settimane fa il sindaco di questa città ha negato l’autorizzazione a ospitare in una sala
comunale la presentazione dell’ultimo libro di Michela Marzano, intitolato Mamma, Papà e
gender. È quindi curioso che questa sera di genere parleremo invece in questa sede.
Proprio perché ci troviamo in questa sede, mi pare onesto precisare da subito che il mio
intento, in questo clima rovente, non potrà essere quello di raffreddare gli animi. Quello in
atto non è infatti una disputa teorica: come ha dimostrato il sindaco Bitonci, si tratta di un
conflitto politico – e di fronte a un conflitto politico la neutralità è forse possibile, ma
l’oggettività non lo è. In questo caso, poi, a me non è possibile neppure la neutralità,
perché la campagna in atto contro la teoria del gender investe direttamente la mia attività
accademica, colpendo quelle teorie femministe, quegli studi di genere e quelle teorie
queer che costituiscono i miei ambiti di ricerca. Anche se lo volessi, e non lo voglio, non
potrei quindi restare neutrale in questo conflitto. Posso però mettere a vostro servizio le
mie competenze e cercare di fare un po’ di chiarezza sulle posizioni in campo e le poste in
gioco. Per fare questo, cercherò di rispondere in modo semplice a tre domande: Che cos’è
la teoria/ideologia del gender? Che cosa significa genere? Che cosa sono gli studi di
genere?

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1. Che cos’è la teoria/ideologia del gender?  A questa domanda si può rispondere in due modi differenti. La prima risposta è
“niente”. Autorevoli associazioni di docenti universitari in Italia, come la Società italiana
delle storiche, l’Associazione Italiana di Psicologia, l’Associazione Italiana di Sociologia
hanno diffuso documenti in cui affermano che la teoria del gender non esiste. Dello stesso
avviso sono celebri intellettuali come la già citata filosofa Michela Marzano e la sociologa
Chiara Saraceno. Quindi la prima risposta è “niente: la teoria del gender non esiste”.
Ma com’è possibile che qualcosa che non esiste stia creando un conflitto tanto
acceso? Per capirlo è necessario dare un’altra risposta: la teoria del gender, o ideologia
del gender, è un dispositivo retorico elaborato dalla Chiesa cattolica per mobilitare
movimenti conservatori e tradizionalisti contro le conquiste del femminismo e contro
l’avanzata dei diritti delle minoranze sessuali. In Italia gli obiettivi della campagna contro il
gender sono in particolare il disegno di legge Scalfarotto contro l’omofobia e la transfobia,
il disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili per lesbiche e gay, e gli interventi di
educazione antidiscriminatoria nelle scuole. Mi rendo conto di aver fatto una affermazione
piuttosto “forte” sostenendo sostanzialmente che la teoria/ideologia del gender è
un’invenzione della Chiesa Cattolica: cercherò ora di giustificare questa affermazione,
attraverso una breve storia del termine e della sua circolazione.


Questa storia inizia una ventina di anni fa. Nel 1995, mentre ancora era papa
Giovanni Paolo II, l’ONU organizzò a Pechino una importanze conferenza mondiale sulle
donne, e nei documenti finali della conferenza comparve il termine “genere”, in inglese
“gender”. La reazione della santa Sede fu immediata: fu emesso un comunicato per
sottolineare la problematicità di quel termine per la dottrina cattolica, e iniziò un dibattito interno alla Chiesa e alle università cattoliche1 che si concluse con la pubblicazione, nel
2003 – sempre sotto il pontificato di Wojtyla – di un grosso volume curato dal Pontificio                                                 1 Un testo chiave di questo periodo è The Gender Agenda. Redefining Equality di Dale O’Leary (1997).

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Consiglio per la Famiglia, intitolato Lexicon: Termini ambigui e discussi su famiglia, vita e
questioni etiche. È appunto in questo volume che il lemma “teoria del gender” fa la sua comparsa ufficiale, accompagnato subito da un netta condanna2. Dopo la pubblicazione
del Lexicon, per una decina d’anni il termine ha avuto una circolazione limitata alla
pubblicistica cattolica. Fino a quando a utilizzarla è stato papa Benedetto XVI, nel discorso
prenatalizio alla Curia romana del 21 dicembre 2012, con l’evidente intento di contrastare
il disegno di legge francese sul matrimonio omosessuale che sarebbe stato poi approvato
nell’aprile 2013. È esattamente da questo momento che l’espressione “teoria del gender”
è diventata lo strumento di mobilitazione politica che oggi conosciamo. Dopo Benedetto
XVI, negli ultimi anni contro la teoria/ideologia del gender sono intervenuti ripetutamente
sia il cardinal Bagnasco, sia papa Francesco che congiuntamente hanno allargato lo
spettro della campagna contro il gender: dalle leggi sui matrimoni omosessuali
all’educazione antidiscriminatoria nelle scuole, che tanto Bagnasco quanto Bergoglio hanno paragonato a campi di rieducazione totalitaria3. L’espressione “ideologia del
gender” compare infine anche nella relatio finalis del sinodo della famiglia da poco
terminato.
So che in agosto la Diocesi di Padova ha diffuso un comunicato che tentava di
smorzare i toni della polemica. Vorrei però sottolineare che le conferenze, i convegni, le
veglie di preghiera, le manifestazioni che negli ultimi anni sono stati organizzati in Italia

                                                2 Il Lexicon contiene le voci Genere (Gender) di Jutta Burggraf e Ideologia di genere: pericoli e portata di Oscar Alzamora Revoredo. 3 Nel dicembre 2012 Benedetto XVI aveva affermato che con “il lemma gender” l’uomo contesta la dualità di maschio e femmina come dato della creazione, e quindi contesta non solo il carattere naturale del matrimonio, ma la creazione stessa, negando Dio e pretendendo di farsi da sé. Nel marzo 2013 il cardinale Bagnasco ha sostenuto che “la teoria del gender edifica un transumano in cui l’uomo appare come un nomade privo di meta e a corto di identità”, che “costruisce delle persone fluide che pretendono che ogni loro desiderio si trasformi in bisogno, e quindi diventi diritto”, e ha invitato esplicitamente i genitori a “reagire perché a scuola non si imparino certe cose”. Sempre nel marzo 2013 Papa Francesco ha affermato che “la famiglia è sotto attacco”, e che “la teoria del gender è uno sbaglio della mente umana che fa tanta confusione”, mentre nell’aprile dello stesso anno che “la teoria del gender è l’esito della frustrazione del mondo moderno che non sa confrontarsi con la differenza tra l’uomo e la donna e tenta di cancellarla”. Tra marzo e aprile 2014, infine, sia Bagnasco sia Bergoglio hanno sostenuto che la teoria del gender ispira una manipolazione educativa paragonabile alla propaganda nazista, trasformando le scuole in campi di rieducazione”.


 4 La teoria del “gender” e l’origine dell’omosessualità.

contro la teoria del gender hanno risposto a una posizione ufficiale della Chiesa e a un
preciso appello delle autorità ecclesiastiche. Che tra l’altro non è rimasto inascoltato dalla
politica. L’atto censorio di Bitonci è solo l’esempio più recente: alcuni comuni italiani, tra
cui i comuni di Padova e di Verona, hanno votato delibere contro la teoria del gender e in
difesa della famiglia naturale. La regione Veneto ha istituito la giornata della famiglia
naturale. Il sindaco di Venezia ha disposto la confisca di alcuni libri dalle biblioteche degli
asili nido e forse farà lo stesso il sindaco di Arezzo… Inoltre, il disegno di legge Scalfarotto
contro l’omotransfobia approvato dalla Camera nel settembre 2013 non è mai stato
calendarizzato in Senato. E nell’aprile 2014 Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e
della Ricerca ha ritirato la distribuzione degli opuscoli Educare alla diversità a scuola che
avrebbero dovuto essere distribuiti a dirigenti scolastici e insegnanti. Infine, non si sa che
fine farà il disegno di legge sul riconoscimento delle coppie omosessuali, ma si sa che nel
disegno di legge Cirinnà le coppie omosessuali già sono state derubricate dallo status di
famiglie a quello di “formazioni sociali specifiche”. La strategia della Chiesa insomma in
Italia ha riportato fino ad ora importanti vittorie, e di conseguenza  il nostro paese resta il
fanalino di coda dell’Europa dei diritti.
Ma che cosa è, dunque, per la Chiesa, questa pericolosa teoria/ideologia del
gender? Per spiegarvelo in modo sintetico riporterò la definizione che ne dà monsignor
Tony Anatrella, sacerdote e psicoterapeuta, che è uno degli autori del Lexicon, e che
viene spesso citato nelle conferenze che stanno facendo il giro dell’Italia. In un libro
pubblicato in Italiano nel 2012 dalle Edizioni Paoline, con prefazione del Cardinale Angelo Scola4, monsignor Anatrella sostiene che la teoria del gender è un’ideologia anticristiana
che dopo il crollo del muro di Berlino ha preso il posto del marxismo, ma che a differenza
del marxismo ha raggiunto una posizione egemonica nell’ONU e nell’Unione Europea.
Scopo di questa teoria/ideologia sarebbe di cancellare la differenza sessuale, di                                              
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distruggere la famiglia naturale, di dare alle donne potere assoluto sugli uomini, e poi di
diffondere l’omosessualità e la perversione sessuale presso i giovani attraverso
l’educazione. I toni della relatio finalis del sinodo sono forse diversi dalla veemenza di
Anatrella, ma non lo sono poi molto i contenuti: al paragrafo 8 si legge infatti che
l’ideologia del “gender” “nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna”,
“prospetta una società senza differenze di sesso e svuota la base antropologica della
famiglia”. Già Ratzinger nel 2012 aveva del resto affermato che con “il lemma gender”
l’uomo contesta la dualità di maschio e femmina come dato della creazione, e quindi
contesta non solo il carattere naturale del matrimonio, ma la creazione stessa, negando
Dio e pretendendo di farsi da sé.
Vedremo tra poco che cosa c’è di vero in questo. Ma per cominciare vorrei insistere
sulla valenza mistificante delle espressioni che vengono utilizzate: lemma gender, teoria
del gender, ideologia del gender, ideologia gender etc… Come affermano Marzano e
Saraceno, la teoria/ideologia del gender non esite al di fuori dell’uso che ne fa la Chiesa
cattolica. Esistono invece nelle università di tutto il mondo, e anche in Italia, degli studi di
genere, al plurale, che danno luogo a un dibattito critico in cui semmai si potrebbe dire che
si confrontano tante teorie sul genere. È vero però che queste teorie hanno qualcosa in
cumune, che non è la volontà di cancellare la differenza sessuale ma è piuttosto la
rivendicazione della dignità delle minoranze sessuali e la promozione della convivenza tra
le differenze sessuali pensate non soltanto come differenza tra uomini e donne. È dunque
questa promozione della convivenza tra le differenze che la Chiesa sta combattendo come una pericolosa ideologia5, mentre a me pare ideologica e mistificante la campagna contro
                                             
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la teoria del gender, a partire dalle espressioni che in questa campagna vengono usate. Il
carattere critico e pluralistico degli studi di genere è infatti evidente già dal nome con cui si
autodefiniscono: “studi di genere”, appunto, al plurale. Anatrella, le gerarchie
ecclesiastiche e i movimenti tradizionalisti usano invece il singolare “teoria”, e così
compattano quello che in realtà è un ampio dibattito critico e una ricerca aperta in una
teoria unitaria e quindi in una ideologia unitaria intesa in senso forte: in una ideologia
coesa e chiusa alla critica che a loro avviso falsicherebbe la realtà, mentre sono loro a
falsificare la realtà di questi studi! Un’altra mossa retorica è l’uso del termine inglese
“gender” nella strana espressione “teoria (italiano) del gender (inglese)”. “Gender” ha una
sua traduzione italiana: “genere”. E quei saperi accademici che nei paesi anglofoni si
chiamano “gender studies”, nelle università italiane si chiamano “studi di genere”, non
“studi di gender”! Ma l’uso di un termine straniero suscita confusione ed incertezza, ed
evoca fantasmi di imperialismo culturale: come se dagli Stati Uniti la pericolosa ideologia
del gender volesse cancellare le nobili tradizioni cristiane della vecchia Europa… Anche
questa è una mistificazione. Questi studi esistono anche in Europa e in Italia, si potrebbe
anzi dire hanno avuto origine nella filosofia europea, e si chiamano “studi di genere”.


2. Che cosa significa “genere”? Dagli anni cinquanta del Novecento il concetto è di uso comune nella psicologia,
nella medicina, nella sociologia, negli studi storici, giuridici, filosofici, letterari. La sua
origine è medico-psicologica: il genere è una delle tre componenti dell’identità sessuale.
Le altre due componenti sono il sesso e l’orientamento sessuale. Il sesso è la componente
fisica, biologica della sessualità, ed è a sua volta la somma di differenti fattori: la
                                                                                                                                                         
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conformazione dei genitali esterni e interni, la conformazione del resto del corpo, le
gonadi, gli ormoni, i cromosomi sessuali. L’orientamento sessuale è la direzione
prevalente del desiderio, che può rivolgersi verso persone del sesso opposto e dello
stesso sesso o a entrambe. Il genere, che è il concetto che qui ci interessa di più, è invece
la componente psicologica dell’identità sessuale, o meglio la componente socio
psicologica. Il genere non ha quindi a che vedere esclusivamente con il corpo, ma anche
con il senso di sé di un soggetto: sentirsi maschio o sentirsi femmina a seconda di ciò che
si intende appropriato a un maschio o a una femmina nella cultura a cui si appartiene.
Nella maggior parte dei casi le persone che biologicamente sono maschi (sesso) hanno
un’identità di genere maschile e comportamenti che rientrano nei canoni culturali della
mascolinità. Nella maggior parte dei casi le persone che biologicamente sono femmine
(sesso) hanno un’identità di genere femminile e comportamenti che rientrano nei canoni
culturali della femminilità. In una minoranza di casi, invece, le persone possono avere una
identità di genere diversa dal sesso di nascita (persone transessuali o transgender FTM o
MTF) oppure possono manifestare alcuni comportamenti non perfettamente allineati ai
canoni culturali del genere: l’attrazione per persone dello stesso sesso è un esempio di ciò
che non si confà al genere maschile e femminile tradizionalmente intesi, ma è non è
l’unico esempio, e vorrei farne altri. A scuola, per rimanere nel contesto che oggi è al
centro del dibattito, alcuni bambini o ragazzi possono venire percepiti come effeminati
perché si abbigliano o si atteggiano in modo atipico, o perché si dedicano ad attività e a
giochi percepiti come femminili. E alcune bambine e ragazze possono venir percepite
come mascoline perché si abbigliano o si atteggiano in modo atipico, o perché si dedicano
ad attività e a giochi tradizionalmente maschili. Alcuni di questi bambini effeminati
potranno in seguito sviluppare un’identità femminile, alcuni potranno sviluppare un
desiderio omosessuale, altri no. E lo stesso vale per le bambine mascoline. Ma il punto è
che nelle nostre scuole i bambini che non hanno un comportamento di genere conforme
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agli standard sociali della mascolinità e femminilità vengono derisi, presi in giro,
malmenati, bullizzati. Particolarmente grave è attualmente il fenomeno del cyber-bullismo:
colpire un ragazzo o una ragazza attaverso un bombardamento di insulti su pagine web,
mailing lists, facebook o What’s up, che diventano strumenti micidiali quando sono usati
con queste finalità.
Credo ricorderete tutti il caso di Andrea, il ragazzo romano che la cronaca ha
presentato come il ragazzo dai pantaloni rosa. Non so se fosse omosessuale o
transgender: nessuno può saperlo perché lui non ne ha mai parlato a nessuno, né agli
amici né ai genitori, né agli insegnanti. I genitori si sono affrettati a dire che era innamorato
di una ragazza, come per salvaguardarne la memoria dall’onta dell’omosessualità. Ma il
punto non è interrogarsi sul suo orientamento sessuale. Il punto è che gli piaceva
indossare il rosa e mettere lo smalto protettivo sulle unghie, che aveva comportamenti
effeminati, e che per questo veniva bullizzato dai compagni, di persona e su facebook.
Anche di questo non ha mai avuto il coraggio di parlare ai genitori, anche per questo non è
mai riuscito a chiedere aiuto agli insegnanti. La vergogna era troppa. La pressione insopportabile. Nel novembre 2012 Andrea si è impiccato. Aveva 15 anni
.
Questa triste storia ci permette di comprendere qual è l’approccio al genere tipico
degli studi di genere: per questi studi il genere non è soltanto la componente
sociopsicologica della sessualità. Per questi studi il genere è anche e soprattutto una
norma, e una norma particolarmente feroce che prevede efferate sanzioni sociali per chi la
trasgredisce. Questo ci conduce alla terza domanda.


 
                                                6 Le statistiche affermano che un gran numero dei suicidi in età adolescenziale, anche quelli che non salgono agli onori delle cronache, li commettono ragazzi e ragazze che vengono derisi e bullizzati per la loro non totale conformità di genere. Presso questi ragazzi il tasso di suicidio è sei o sette volte più alto rispetto a quelli che hanno comportamenti di genere conformi agli standard.
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Che cosa sono gli studi di genere (o gender studies)? Gli studi di genere sono uno sviluppo degli studi femministi che indagano e
problematizzano le norme di genere. Si tratta di un ampio settore di ricerche plurali,
interdisciplinari, di un dibattito tra voci differenti, spesso discordanti, che però concordano
su un fatto evidente: che le norme di genere, ciò che una società e una cultura ritiene
appropriato per essere pienamente uomini o pienamente donne, variano nelle culture e nella storia. Negli anni sessanta e settanta è stata la teoria femminista a utilizzare il
concetto di genere per denaturalizzare la subordinazione delle donne agli uomini. O
meglio, il concetto di genere era già presente nella teoria femminista ben prima che il
termine “genere” si diffondesse nei saperi accademici a partire dall’ambito medico. Già in
quello studio capitale che è Il secondo sesso, uscito in Francia nel 1949, Simone de
Beauvoir sosteneva che “donne non si nasce, donne si diventa”. Intendendo con questo
che l’identità femminile tradizionale non deriva soltanto dalle caratteristiche del corpo
femminile, ma anche e soprattutto dall’educazione che viene tradizionalmente impartita
alle donne, dalle deprivazioni che vengono loro imposte da quelle che oggi abbiamo
imparato a chiamare norme di genere. A chi sosteneva che la subordinazione delle donne
agli uomini e addirittura la violenza degli uomini sulle donne fosse naturale, le femministe
rispondevano e ancora rispondono che invece si tratta di fenomeni culturali: che si tratta
appunto di norme di genere – che come tutte le norme possono essere contestate,
riformate o abolite.  E oggi non possiamo che dar loro ragione: è evidente che dagli anni
cinquanta a oggi in Italia, grazie al femminismo, l’interpretazione della femminilità è
cambiata parecchio. Ad esempio il femminicidio, cioè la violenza di genere, che una volta
era tollerata come omicidio passionale oggi ci risulta, e per fortuna, intollerabile.
                                                7 È evidente ad esempio che le nostre nonne e le nostre bisnonne praticavano la propria femminilità seguendo canoni ben diversi da quelli che seguono le nostre figlie. Oppure: tutti sappiamo che in Scozia il kilt viene indossato tradizionalmente dagli uomini, mentre da noi la gonna – anche se in tessuto scozzese – è un indumento esclusivamente femminile.



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Parallelamente e contemporaneamente al femminismo, la critica delle norme di
genere è stata assunta dal pensiero lesbofemminista, gay, transgender. Dagli anni
sessanta, ma in realtà già da ben prima, le donne lesbiche, gli uomini gay, le persone
bisessuali, transgender, intersex si sono riunite in movimenti che denunciano la violenza
omobitransfobica e che affermano la piena dignità umana di chi appartiene alle minoranze
sessuali. Quando queste soggettività hanno preso la parola nelle università, hanno
elaborato studi di genere che mettono in luce come nelle società tradizionali le norme di
genere siano ordinate da una norma fondamentale: l’eterosessualità obbligatoria. Questa
norma non si limita a prescrivere la subordinazione delle donne agli uomini, ma definisce
le donne attraverso la loro subordinazione agli uomini nel rapporto eterosessuale e
definisce gli uomini attraverso la loro superiorità sulle donne nel rapporto eterosessuale.
L’eterosessualità obbligatoria rende quindi invisibili e invivibili le esistenze delle donne
lesbiche, degli uomini gay e delle persone transgender – che non conformandosi agli
standard della mascolinità e della femminilità si ritrovano ad essere non pienamente
donne o uomini, e quindi non pienamente umani. Espressione di eterosessualità
obbligatoria è ad esempio il senso comune secondo cui soltanto la sessualità
eterosessuale sarebbe naturale perché riproduttiva, mentre l’omosessualità sarebbe
innaturale o perversa. Il nome più illustre, sempre citato anche nelle conferenze anti
gender, è quello della filosofa statunitense Judith Butler, autrice di due saggi fondamentali
tradotti in Italiano con il titoli Questione di genere (1990) e Fare e disfare il genere (2004).
In questi saggi Butler contesta la norma dell’eterosessualità obbligatoria, non certo
l’eterosessualità come espressione del desiderio, e suggerisce la possibilità di resistere a
questa norma, di sovvertirla per rendere vivibili e umane le vite delle minoranze sessuali. Il
verbo che utilizza Butler è “to displace”: l’eterosessualità obbligatoria e le identità
tradizionali che essa produce per Butler possono essere dislocate, cioè gradualmente

riformulate, attraverso una proliferazione dei generi, delle relazioni sessuali e affettive, dei
legami di parentela.


Mi sembra quinti evidente che su questi punti il conflitto tra gli studi di genere con la
dottrina della Chiesa cattolica, come ho detto fin dall’inizio, c’è ed è lampante. (Non è il
frutto di un fraintendimento, come sostiene Marzano). Gli studi di genere sono studi laici,
sospendono il giudizio sull’esistenza di Dio e sulla sua funzione creatrice, negano che il
matrimonio eterosessuale sia naturalmente superiore ad altre forme di unione affettiva.
Però in questo conflitto c’è chi sta giocando in modo disonesto, ideologico nel senso
detrattivo del termine, presentando gli studi di genere in modo caricaturale, come una
ideologia che vuole cancellare la differenza sessuale tra uomini e donne. Gli studi di
genere affermano e rivendicano semmai la possibilità di essere uomini e donne al di fuori
dalle norme di genere tradizionali dettate dall’eterosessualità obbligatoria, e quindi anche
di elaborare delle identità, come le identità transgender, che si situano tra il maschile e il
femminile. Il che è ben diverso dal voler imporre a tutti di disfarsi della propria identità di
genere o dei propri legami relazionali e familiari.
Difendere il diritto delle lesbiche e dei gay al matrimonio, per esempio, non significa
in alcun modo ledere il diritto al matrimonio degli uomini e delle donne eterosessuali –
affermarlo, mi pare anzi un’assurdità! Com’è un’assurdità pensare che contrastare il
bullismo omofobico e transfobico nelle scuole equivalga a voler imporre l’omosessualità e
la transessualità a tutti. Le persone omosessuali e transessuali sono sempre esistite,
anche nelle società eterossessiste più omofobe e transofobe, nate da famiglie
eterosessuali che certo non le hanno educate a diventare omosessuali o transessuali!
L’identità sessuale e il desiderio sessuale sono componenti profonde della personalità,
che per la psicologia restano un mistero. Butler sostiene ad esempio che il soggetto è
opaco a se stesso, che non può decidere di sé, e che la sessualità è la dimensione in cui
questa opacità diviene più evidente. Butler sostiene cioè il contratrio di ciò che ha
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affermato Benedetto XVI dicendo che per le filosofie del gender l’uomo vuole sostituirsi a
Dio e farsi da sé.


Per gli studi di genere l’identità sessuale è quindi un mistero, e questo mistero ci
interroga, e ci costringe a rispondere. I programmi educativi che traggono ispirazione dagli
studi di genere sono appunto una risposta, e promuovono una società della tolleranza e
del rispetto in cui possano essere accolti quei ragazzi e quegli adulti che esprimono il
proprio genere in modo non convenzionale. Nessuno di questi programmi vuole cancellare
la differenza sessuale e trasformare i vostri figli in soggetti neutri o indifferenziati! Nessuno
di questi programmi vuole obbligare gli alunni maschi a indossare i pantaloni rosa! Ciò che
si vuole è costruire una scuola e una società in cui i ragazzi che amano indossare
pantaloni rosa si sentano accolti, compresi, protetti. Sta a voi, sta a noi, decidere da che
parte stare nel conflitto in atto: dalla parte di questi programmi educativi antidiscriminatori,
dalla parte di questi ragazzi, che potrebbero essere i nostri figli. Oppure dalla parte dei
loro aguzzini. Come si diceva una volta: tertium non datur.

 Lorenzo Bernini

Ideologia del gender e studi di genere Padova, 23 novembre 2015,
 ciclo di conferenze sul tema “Sesso” organizzate dall’Ufficio di Pastorale della comunicazione della Diocesi di Padova 






http://www.livescience.com/52941-brain-is-mix-male-and-female.html




[LGBTQILo ammetto: ho inaugurato quest’incontro confessando a un’amica di vecchia data lo sconforto e la mia stanchezza su tutta questa polemica del gender (diciamolo, ci sono temi più appassionanti): e non perché abbia perso interesse, anzi, ma alle volte mi sembra di girare a vuoto e di non fare un passo avanti. Sotto questo aspetto, l’incontro con Michela Marzano, venuta a Palermo per presentare il suo nuovo libro, mi ha rigenerato, rimettendomi a posto e dandomi nuova linfa e soprattutto ricordandomi che il militante sta dove si combattono le battaglie, sempre. (Altrimenti è opportunista e insensibile, aggiungo io).

Michela MarzanoDiretta, franca, appassionata, concreta e chiarissima, Michela Marzano è dolce, ma non per questo rinuncia a una peculiare determinazione. Il fulcro del suo lavoro è l’attraversamento di un’esperienza, la sperimentazione del dolore, contro cui ha già senso scrivere: si lavora per scongiurarlo, per mettere ordine laddove c’è il caos, per dare alle cose il nome giusto - e cita Camus - altrimenti non ha senso attivarsi in una determinata direzione. 

L’incontro con Michela Marzano - che insegna Filosofia morale a Parigi - per la presentazione di Papà, mamma e gender ha dunque avuto il merito di chiarire al foltissimo pubblico accorso alla libreriaModusVivendi di Palermo cosa non sia la cosiddetta ideologiagender; quanto sia distante perfino dalla peggiore parodia dei molteplici studi di genere che investono l’accademia dagli anni Sessanta in qua; e come quest’isteria abbia fatto male sia a moltissime persone sia alle cause che si pretende di voler difendere.

Famiglia “tradizionale” e bambini non hanno nulla da temere dal nascere di nuovi nuclei, non c’è nessun attacco, c’è semmai la lotta per garantire ai nuclei affettivi che esistono già e a quelli che si formeranno una maggiore tutela, un’equità di fronte alla legge, nel rispetto delle identità individuali e delle differenze che caratterizzano ciascuno di noi. Michela Marzano insiste sul lessico e sugli errori più comuni, sulla superficialità con la quale si affrontano gli aspetti identitari delle persone. Ma soprattutto la studiosa consegna nelle mani del pubblico in sala uno strumento per chiarirsi le idee e continuare, insieme, questa battaglia contro stereotipi e calunnie.

Chiunque ci sia stato, chiunque l’abbia vista e ascoltata, dirà che Michela Marzano è stata protagonista di un incontro davvero appassionante e utile. Grazie.



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