Le domande che dobbiamo porci
Sull’adozione di bambini da parte delle coppie omosessuali tutti si sentono in dovere di esprimere la loro opinione: «secondo me non è il caso», «io penso che si dovrebbe», e così via. L’iniziativa di Matteo Renzi di accelerare il riconoscimento delle coppie dello stesso sesso è sicuramente apprezzabile, ma sulle adozioni lo stesso Renzi tergiversa. Senza togliere a nessuno il diritto di dire come la pensa, credo che sia giunto il momento dimettere in sordina sentimenti e opinioni per vedere prima di tutto cosa dice la ricerca empirica su questo tema, ricerca che negli Stati Uniti si è sviluppata da più di venticinque anni.
Due sono i quesiti principali. Il primo: gay e lesbiche sono adatti a svolgere il compito di genitore? Su questo punto esiste un’indicazione importante, una risoluzione adottata nel 2004 (quindi dieci, dico dieci anni fa) dall’American Psychological Association, l’associazione scientifica e professionale che raggruppa più di centotrentamila psicologi americani. Ebbene, una rassegna delle ricerche condotte sul tema mostra che i genitori omosessuali “sono adeguati come quelli eterosessuali a fornire un sostegno e un ambiente sano ai loro figli”. Pertanto la risoluzione dell’APA si oppone a ogni discriminazione in materia di adozioni, affidamento dei figli, eccetera.
Il secondo punto, ed è quello in assoluto più importante, riguarda i figli: i bambini cresciuti da coppie omo presentano caratteri particolarmente problematici? In altre parole, sono diversi da quelli allevati da coppie etero? La risposta complessiva a questa domanda è chiara: no. Ricerche longitudinali su bambini e adolescenti hanno mostrato che non esistono differenze significative. Si è visto innanzitutto che il tipo di coppia genitoriale (etero, lesbica o gay) non incide in modo rilevante sulla identità di genere, sull’orientamento sessuale dei bambini, sulle loro preferenze in termini di giochi e attività.
Ma, ancor più importante, uno studio condotto negli Stati Uniti con un campione nazionale di adolescenti che vivono con coppie omo ed etero ha mostrato che il tipo di famiglia in cui crescono non produce differenze di rilievo neanche tra gli adolescenti né per quello che riguarda il benessere psicologico (autostima, sintomi di depressione, ansietà), né rispetto alle relazioni con i genitori e alla loro popolarità con i coetanei (reti amicali, rapporti romantici), né riguardo ai comportamenti a rischio (uso di sostanze, atti criminosi), né per i risultati scolastici. I ricercatori hanno quindi concluso che la qualità delle relazioni all’interno del nucleo familiare incidono ben di più su questi fattori di quanto non faccia il tipo di famiglia. La risposta della ricerca psicologica e sociale è quindi chiara: lo sviluppo, l’adattamento e il benessere di bambini e degli adolescenti non è collegato con l’orientamento sessuale dei genitori.
A questo punto non ci sono più sostegni scientifici che consentano di opporsi alle adozioni da parte delle coppie dello stesso sesso. Resta il fatto che le ricerche di cui ho parlato sono state effettuate in paesi che sono ben più avanti di noi nel campo dei diritti civili. Cosa succederebbe in Italia, in un paese che ancora non è stato neanche in grado di riconoscere ufficialmente le coppie di fatto?
Innanzitutto, come si desume anche da sondaggi recenti, più della metà degli italiani è favorevole al matrimonio tra persone dello stesso sesso (dati Datamonitor, 2013). Per quello che riguarda le adozioni, invece, solo il 20% è favorevole, percentuale bassa ma comunque in crescita. È intuibile che le perplessità siano dovute soprattutto alla non conoscenza e i timori riguardino in particolare le possibili ricadute negative che le scelte dei genitori avrebbero sui figli.
È quindi indispensabile consentire alla gente di farsi un’idea più documentata su questo tema dando ampia diffusione ai risultati delle ricerche e aprendo un dibattito allargato – ossia non limitato ai diretti interessati — sui media, nelle scuole, nelle università, nei luoghi di lavoro. Si tratta di un’azione informativa e formativa di ampio respiro tesa a sensibilizzare innanzitutto operatori sociali, docenti, giornalisti, e formatori per poi svilupparsi rapidamente a palla di neve perché l’argomento appassiona e suscita vasto interesse in persone di tutti i tipi e di tutte le generazioni. Un intervento di questo tipo potrebbe modificare, sulla base delle evidenze empiriche, l’opinione più diffusa su questo tema e così esercitare una forte pressione a livello politico, velocizzando l’interminabile iter legislativo sul tema. Piccoli tentativi cominciano a vedersi anche sulla televisione di stato: il documentario Tutto il resto è nulla, trasmesso da Rai3 il 16 gennaio, ha raccontato la vita e i rapporti di una famiglia con due genitori dello stesso sesso, Marco e Giampietro. Ma è andato in onda in seconda serata, quanti lo avranno visto?
L’adozione non è mai semplice: per essere genitori adottivi è necessario essere pienamente consapevoli del difficile compito che ci si assume, aver fatto la scelta condivisa di una disponibilità costante nei confronti della figlia o del figlio. Si tratta di un grosso impegno cognitivo, affettivo e organizzativo che purtroppo non sempre si risolve in un successo. Ma questo vale per le coppie omosessuali quanto per quelle etero. Le domande semmai sono altre: in che misura i nostri servizi sociali sono in grado di preparare adeguatamente i genitori e monitorare il percorso evolutivo dei bambini adottati? Hanno gli strumenti per fornire l’aiuto psicologico e pratico di cui le coppie e i figli – quale che sia il tipo di famiglia – necessitano?
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