Di queste nuove famiglie fanno parte quei circa centomila minori con almeno un genitore gay e che in Italia vivono senza riconoscimento. Ma al di là dei dati, delle statistiche, degli esempi, non c’è modo migliore per conoscerle dal di dentro che farle parlare in prima persona, dar loro voce per farci entrare nei loro salotti, dove il quotidiano diventa simile a quello di ogni famiglia.
E allora ecco che vi presento la famiglia di Costanza, Monia e i loro due figli. Insieme da quasi 14 anni, sposate da 2 a Barcellona e madri da 6 (grazie a una clinica di Bruxelles). Tra gli impegni in ufficio e quelli di mamma, Costanza ha trovato il tempo di rispondere alle mie domande convinta che «La visibilità è la nostra arma più efficace per far capire che il nostro essere due mamme non rende la nostra famiglia meno funzionale delle altre».
Costanza, da quanto state insieme?
Ci siamo “fidanzate” 13 anni e mezzo fa, dopo due anni siamo andate a convivere e un anno dopo (10 anni fa) abbiamo comprato casa insieme.
Quando avete deciso di voler diventare mamme?
La mia compagna mi parlò da subito di questo suo desiderio che aveva da sempre. All’inizio non ero molto convinta, ma a forza di parlarne ho capito che quello che mi bloccava era la paura che non fosse una scelta giusta. La causa profonda della mia difficoltà era la cosiddetta omofobia interiorizzata, che mi faceva sentire inadeguata a priori e riusciva così a seppellire il mio desiderio di genitorialità.
Come avete deciso come fare?
Abbiamo capito abbastanza presto che la soluzione migliore per noi era il donatore perché non volevamo interferenze esterne alla nostra coppia. Avevamo anche individuato un paio di amici gay che forse sarebbero stati disponibili come “donatore amico”, ma temevamo che prima o poi potessero rivendicare un ruolo paterno nei confronti dei figli.
Cosa avete dovuto fare una volta presa la vostra decisione?
Abbiamo preso contatti con il Policlinico universitario di Bruxelles, dopo qualche mese abbiamo avuto il colloquio per la prima visita, nel corso della quale abbiamo portato i risultati di una serie di esami propedeutici. Poi è iniziato l’iter dei tentativi: prima una serie di IUI (inseminazioni intrauterine), poi le FIVET (Fertilizzazione In Vitro con Embryo Transfer, una tecnica di procreazione assistita dove la fecondazione dell’ovulo avviene prima in vitro e poi successivamente l’embrione formato viene trasferito nell’utero della donna).
E oggi avete due bambini…
La grande, arrivata al tredicesimo tentativo, ha 6 anni e mezzo. Il piccolo, dopo altri 7 tentativi, ha 11 mesi.
Come avete tutelato la vostra famiglia dal punto di vista legale visto che in Italia non siete risconosciuti?
Innanzitutto fin dall’inizio della nostra convivenza ci siamo messe sullo stesso Stato di famiglia: non è una gran tutela, ma testimonia il nostro essere più che semplici conviventi. Abbiamo fatto testamento, ognuna di noi, designando l’altra come erede universale nei termini consentiti dalla legge (che prevede quote legittime diversamente da quanto previsto per le coppie sposate), e la mia compagna (mamma biologica e legale di entrambi i bambini) indicando me come persona alla quale vorrebbe che fossero affidati i figli nel caso le succedesse qualcosa di grave: è un’indicazione non vincolante ma della quale il giudice dovrebbe tener conto. È chiaro che la mancanza di riconoscimento del legame tra me e i bambini è la cosa più preoccupante e rispetto alla quale siamo più deboli. Tornando a questioni patrimoniali, abbiamo sottoscritto delle polizze vita designando l’altra come beneficiaria, acquistato al 50% la casa in cui viviamo e cointestato il mutuo al 50%.
Come vi chiamano i vostri figli?
Siamo entrambe “mamma”, ed è così che ci presentiamo anche al di fuori della famiglia. Se c’è bisogno di differenziare, la grande (il piccolo naturalmente ancora non parla) ci chiama Mammamò e Mammacò.
Come è il rapporto con le rispettive famiglie?
Non ravvisiamo una specificità dovuta al nostro essere una famiglia omogenitoriale. Le famiglie di origine ci sono state accanto, con le ovvie differenze individuali, durante il percorso di ricerca dei figli, ora sono tutti nonni felici di veder crescere i propri nipotini.
Come è il rapporto con la scuola e gli altri genitori?
All’inizio di un nuovo ciclo scolastico o in presenza di nuovi insegnanti ci presentiamo al corpo docente perché riteniamo importante “spianare la strada” ai nostri figli: nel momento in cui dovessero parlare della loro famiglia, non vogliamo che qualcuno possa dire che “non può essere, un papà devi averlo per forza, magari è morto o andato via”. Né tanto meno vogliamo rischiare atteggiamenti omofobi (magari inconsapevoli) da parte delle maestre. La visibilità è la nostra arma più efficace per far capire che il nostro essere due mamme non rende la nostra famiglia meno funzionale delle altre. Alle riunioni scolastiche e alle feste andiamo, se possibile, sempre insieme, proprio per farci conoscere anche dai genitori degli altri bambini. Finora questa strategia ha funzionato benissimo: a volte le persone mostrano qualche legittima curiosità nei confronti del nostro percorso, ci chiedono come abbiamo fatto o quali diritti abbiamo o ci sono negati. Tutto questo è molto utile, perché se un cambiamento avverrà nella società italiana sarà proprio a partire dal basso, dalla conoscenza sempre più diffusa delle nostre famiglie nel tessuto sociale, nella quotidianità di tutti.
Conoscete e frequentate altre famiglie omogenitoriali?
Siamo socie fondatrici di Famiglie Arcobaleno, l’associazione dei genitori omosessuali nata nel 2005 che conta oggi centinaia di famiglie omogenitoriali in tutta Italia. Conoscere e frequentare altre famiglie simili alla nostra è importante per i nostri figli, che altrimenti potrebbero credere di essere gli unici ad avere una famiglia “diversa”.
Cosa vi aspettate dai vostri figli?
Che siano bambini sereni ed equilibrati, e domani adulti liberi di mente e aperti ad accogliere la diversità in tutte le sue possibili manifestazioni.
Egizia Mondini
da Donna Moderna.com
E allora ecco che vi presento la famiglia di Costanza, Monia e i loro due figli. Insieme da quasi 14 anni, sposate da 2 a Barcellona e madri da 6 (grazie a una clinica di Bruxelles). Tra gli impegni in ufficio e quelli di mamma, Costanza ha trovato il tempo di rispondere alle mie domande convinta che «La visibilità è la nostra arma più efficace per far capire che il nostro essere due mamme non rende la nostra famiglia meno funzionale delle altre».
Costanza, da quanto state insieme?
Ci siamo “fidanzate” 13 anni e mezzo fa, dopo due anni siamo andate a convivere e un anno dopo (10 anni fa) abbiamo comprato casa insieme.
Quando avete deciso di voler diventare mamme?
La mia compagna mi parlò da subito di questo suo desiderio che aveva da sempre. All’inizio non ero molto convinta, ma a forza di parlarne ho capito che quello che mi bloccava era la paura che non fosse una scelta giusta. La causa profonda della mia difficoltà era la cosiddetta omofobia interiorizzata, che mi faceva sentire inadeguata a priori e riusciva così a seppellire il mio desiderio di genitorialità.
Come avete deciso come fare?
Abbiamo capito abbastanza presto che la soluzione migliore per noi era il donatore perché non volevamo interferenze esterne alla nostra coppia. Avevamo anche individuato un paio di amici gay che forse sarebbero stati disponibili come “donatore amico”, ma temevamo che prima o poi potessero rivendicare un ruolo paterno nei confronti dei figli.
Cosa avete dovuto fare una volta presa la vostra decisione?
Abbiamo preso contatti con il Policlinico universitario di Bruxelles, dopo qualche mese abbiamo avuto il colloquio per la prima visita, nel corso della quale abbiamo portato i risultati di una serie di esami propedeutici. Poi è iniziato l’iter dei tentativi: prima una serie di IUI (inseminazioni intrauterine), poi le FIVET (Fertilizzazione In Vitro con Embryo Transfer, una tecnica di procreazione assistita dove la fecondazione dell’ovulo avviene prima in vitro e poi successivamente l’embrione formato viene trasferito nell’utero della donna).
E oggi avete due bambini…
La grande, arrivata al tredicesimo tentativo, ha 6 anni e mezzo. Il piccolo, dopo altri 7 tentativi, ha 11 mesi.
Come avete tutelato la vostra famiglia dal punto di vista legale visto che in Italia non siete risconosciuti?
Innanzitutto fin dall’inizio della nostra convivenza ci siamo messe sullo stesso Stato di famiglia: non è una gran tutela, ma testimonia il nostro essere più che semplici conviventi. Abbiamo fatto testamento, ognuna di noi, designando l’altra come erede universale nei termini consentiti dalla legge (che prevede quote legittime diversamente da quanto previsto per le coppie sposate), e la mia compagna (mamma biologica e legale di entrambi i bambini) indicando me come persona alla quale vorrebbe che fossero affidati i figli nel caso le succedesse qualcosa di grave: è un’indicazione non vincolante ma della quale il giudice dovrebbe tener conto. È chiaro che la mancanza di riconoscimento del legame tra me e i bambini è la cosa più preoccupante e rispetto alla quale siamo più deboli. Tornando a questioni patrimoniali, abbiamo sottoscritto delle polizze vita designando l’altra come beneficiaria, acquistato al 50% la casa in cui viviamo e cointestato il mutuo al 50%.
Come vi chiamano i vostri figli?
Siamo entrambe “mamma”, ed è così che ci presentiamo anche al di fuori della famiglia. Se c’è bisogno di differenziare, la grande (il piccolo naturalmente ancora non parla) ci chiama Mammamò e Mammacò.
Come è il rapporto con le rispettive famiglie?
Non ravvisiamo una specificità dovuta al nostro essere una famiglia omogenitoriale. Le famiglie di origine ci sono state accanto, con le ovvie differenze individuali, durante il percorso di ricerca dei figli, ora sono tutti nonni felici di veder crescere i propri nipotini.
Come è il rapporto con la scuola e gli altri genitori?
All’inizio di un nuovo ciclo scolastico o in presenza di nuovi insegnanti ci presentiamo al corpo docente perché riteniamo importante “spianare la strada” ai nostri figli: nel momento in cui dovessero parlare della loro famiglia, non vogliamo che qualcuno possa dire che “non può essere, un papà devi averlo per forza, magari è morto o andato via”. Né tanto meno vogliamo rischiare atteggiamenti omofobi (magari inconsapevoli) da parte delle maestre. La visibilità è la nostra arma più efficace per far capire che il nostro essere due mamme non rende la nostra famiglia meno funzionale delle altre. Alle riunioni scolastiche e alle feste andiamo, se possibile, sempre insieme, proprio per farci conoscere anche dai genitori degli altri bambini. Finora questa strategia ha funzionato benissimo: a volte le persone mostrano qualche legittima curiosità nei confronti del nostro percorso, ci chiedono come abbiamo fatto o quali diritti abbiamo o ci sono negati. Tutto questo è molto utile, perché se un cambiamento avverrà nella società italiana sarà proprio a partire dal basso, dalla conoscenza sempre più diffusa delle nostre famiglie nel tessuto sociale, nella quotidianità di tutti.
Conoscete e frequentate altre famiglie omogenitoriali?
Siamo socie fondatrici di Famiglie Arcobaleno, l’associazione dei genitori omosessuali nata nel 2005 che conta oggi centinaia di famiglie omogenitoriali in tutta Italia. Conoscere e frequentare altre famiglie simili alla nostra è importante per i nostri figli, che altrimenti potrebbero credere di essere gli unici ad avere una famiglia “diversa”.
Cosa vi aspettate dai vostri figli?
Che siano bambini sereni ed equilibrati, e domani adulti liberi di mente e aperti ad accogliere la diversità in tutte le sue possibili manifestazioni.
Egizia Mondini
da Donna Moderna.com
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