Ci tengo molto in quest'occasione a ricordare una persona che mi ha insegnato tanto sia dal punto di vista professionale e sia da quello umano. Penso che ripercorrere le tappe più importanti della sua vita ci aiuti a capire profondamente le difficoltà che possono caratterizzare la vita di una donna transessuale. In particolare focalizzerò l'attenzione sulle fasi precoci della sua vita, l'infanzia e l'adolescenza, proprio perché voglio condividere con voi la mia esperienza con bambini e adolescenti che si sentono confusi rispetto alla propria identità di genere (la percezione che ognuno ha di appartenere al genere maschile o femminile).
Marisa è morta a giugno nella sua casa dove viveva da sola, l'hanno trovata i vicini riversa in bagno, la forza del suo cuore non è riuscita a reggere i dolori che derivavano dalle drammatiche condizioni fisiche e dalle sofferenze provate nella sua vita. Ho conosciuto Marisa cinque anni fa, lei si era rivolta al Servizio presso il quale lavoro (Servizio per l'Adeguamento tra Identità Fisica e Identità Psichica-SAIFIP, Azienda Ospedaliera S.Camillo-Forlanini di Roma) per iniziare il percorso medico e psicologico che l'avrebbe portata alla Riassegnazione Chirurgica di Sesso (RCS). Da allora ho iniziato a seguirla in un percorso di sostegno psicologico che, in seguito, si è trasformato in qualcosa di diverso.
Era nata in un paese della Calabria cinquantacinque anni fa. Fin dai primi anni di vita provò una profonda sofferenza rispetto all'essere nata in un corpo maschile, e, in maniera del tutto spontanea, manifestava atteggiamenti delicati e femminili. S'interessava dei vestiti e dei giocattoli delle sorelle e le piaceva stare sempre con le bambine. Si sentiva meglio con le femmine poiché pensava di essere come loro, non le piacevano i giochi aggressivi o quelli scalmanati, tipici dei maschi, bensì le piaceva disegnare dei personaggi delle favole come "Biancaneve" o la "Bella addormentata nel bosco".
Le piaceva stare tranquillamente seduta vicino alle sue amiche a pettinare le bambole o a cambiare loro un vestitino. Quando si stava per addormentare iniziava a pensare che forse la mattina dopo quando si sarebbe svegliata avrebbe avuto la "patatina", era convinta che prima o poi sarebbe successo, bisognava solo aspettare del tempo.
C'era in lei un rifiuto profondo del suo pene, per questo non amava lavarlo, preferiva nasconderlo e fare di tutto per cercare di negarlo, come se non ci fosse; anche per questo, infatti, faceva sempre la pipì seduta sul gabinetto.
I genitori condannarono fin da subito questi comportamenti e lei crebbe sviluppando un profondo senso di colpa e di vergogna rispetto al suo sentirsi "femmina".
I bambini di quell'età, stiamo parlando di 5-6 anni, non capiscono cosa succede loro, capiscono solo che non se ne può parlare e che bisogna nascondere certi desideri e aspirazioni. Fu in quegli anni che Marisa iniziò a covare un segreto, che diventò come uno scrigno dove mettere dentro fantasie, ansie e, soprattutto, tanto dolore.
Nonostante i divieti espliciti di manifestare certi comportamenti lei non riuscì a fingere e da quel momento iniziò a emergere la sua straordinaria forza e la sua voglia di esprimere quello che era, senza farsi condizionare dagli altri. Questo le costò caro. All'età di dodici anni fu cacciata di casa.
La presero gli zii, non per desiderio di darle affetto e protezione, ma solo per il bisogno di avere una "schiava" in casa che pensasse a tutte le faccende domestiche. Per questo Marisa passava le sue giornate a pulire, a cucinare e a occuparsi di quella famiglia; se per caso era troppo lenta o faceva qualche errore veniva punita severamente e confinata nello sgabuzzino. Anche gli zii non accettavano la sua condizione esistenziale ed erano botte se per caso aveva qualche atteggiamento vagamente femminile.
In quel periodo al dolore che derivava dall'esterno si aggiunse la sofferenza legata ai cambiamenti del corpo, tipici della pubertà. Per i ragazzi con Disturbo dell'Identità Genere (transessualismo) assistere alla crescita dei peli e della barba, allo sviluppo dei muscoli e delle ossa e alla trasformazione degli organi genitali è come andare incontro a una morte lenta. In questo periodo, solitamente, iniziano a svilupparsi i vissuti depressivi legati alla consapevolezza della propria realtà.
Marisa iniziò a capire che era inutile sperare di risvegliarsi in un corpo femminile; lo sviluppo cognitivo le permise di rendersi conto della sua situazione e quanta angoscia nel comprendere che il cambiamento fisico sarebbe stato inevitabile, se non avesse fatto qualcosa subito. Per tale motivo la sua intelligenza e il suo desiderio di perseguire e realizzare quello che si sentiva di essere, l'aiutarono a cercare di capire cosa le stava succedendo.
Non a caso entrò in contatto con alcune donne transessuali che si prostituivano nelle strade della sua città, capì subito che tra lei e quelle persone c'erano delle cose in comune. Questa conoscenza le permise di dare un nome alla sua condizione, di sapere che si può fare qualcosa per stare meglio e soprattutto di non sentirsi "mostruosa" e isolata.
All'età di quattordici anni iniziò ad assumere una terapia ormonale femminilizzante, questo rappresentò uno spartiacque tra un periodo di profondo buio e un altro in cui s'incominciava a vedere una luce alla fine del tunnel.
Lei faceva di tutto per nascondere i cambiamenti che derivavano dall'assunzione degli ormoni (crescita del seno, caduta dei peli, atrofizzazione degli organi genitali), ma questo non bastò poiché alcuni atteggiamenti emergono, anche se si cerca di fare di tutto per nasconderli.
Per la seconda volta Marisa fu cacciata di casa. Nel suo paese nessuno accettava la sua condizione, veniva derisa e presa in giro, per questo decise di venire a Roma.
Solo la sua forza le permise di fare questo passo: immaginiamo quanto possa essere difficile per una ragazza di sedici anni decidere da sola di trasferirsi in una grande città, senza avere nessuno che possa aiutarla.
Lei, oramai, si presentava completamente al femminile e aver iniziato così precocemente la terapia ormonale l'aiutò ad arrestare lo sviluppo delle caratteristiche tipicamente maschili. Da quel momento si presentò come Marisa e nessuno si rendeva conto della sua condizione. La vita a Roma fu molto difficile. Inizialmente visse come una "barbona" dormendo tutte le notti in una macchina abbandonata e cercando da mangiare nei cassonetti. Ma questa situazione durò poco poiché lei aveva sempre il suo obiettivo da perseguire "diventare donna", questo le dava energia per andare avanti.
Inevitabilmente si avvicinò al mondo della prostituzione e iniziò a guadagnare molti soldi; pensava che sarebbero serviti per l'operazione tanto desiderata, avere una vagina. La prostituzione l'aiutò anche a soddisfare un profondo bisogno di essere riconosciuta dagli altri come donna e di sentirsi desiderata dagli uomini. E' per tale motivo che alcune donne transessuali tendono a esibire la loro femminilità, quasi a ostentarla, sotto questo comportamento c'è un profondo senso d'insicurezza che deriva dal sapere di avere un corpo maschile.
La vita non aveva finito di metterla alla prova, la sua salute incominciò a mostrare le prime crepe, iniziarono dei problemi cardiaci e soprattutto si rese conto di avere un tumore. Neanche queste difficoltà intaccarono la sua forza e il desiderio di raggiungere il suo obiettivo. Riuscì a sconfiggere il tumore.
Nel frattempo aveva conosciuto un uomo che la faceva sentire una donna (ci teneva a sottolineare che era un uomo eterosessuale), che l'amava e con il quale andò a convivere. Passarono alcuni anni in cui si sentì serena, le bastava avere un tetto sopra la testa e condividere la sua vita con una persona che le mostrava affetto. Sapeva in cuor suo di non aver ancora raggiunto il suo obiettivo, ma in quegli anni, l'unica possibilità per fare l'intervento chirurgico era andare a Casablanca, città troppo lontana da raggiungere per le possibilità economiche di Marisa.
Sono più di quindici anni che lavoro presso il Servizio del S. Camillo rivolto a persone con Disturbi dell'Identità di Genere e in tutti questi anni ho pensato che la storia di Marisa sia stata una tra le più drammatiche con cui mi sono confrontata. Non è un caso che abbia voluto condividerla con voi.
Il bisogno di condividere è uno tra i più importanti anche per le persone transessuali, loro spesso fantasticano che nessuno potrà mai accettare e comprendere la loro realtà. S'immaginano che dirlo significhi essere cacciati di casa e, in generale, essere rifiutati dagli altri.
Una delle esperienze per loro più significative è quella di constatare che la famiglia, gli amici e le persone attorno a loro siano, nella maggior parte dei casi, disposti a stargli accanto durante il percorso.
Nel Servizio rivolto ai bambini e agli adolescenti lavoriamo soprattutto insieme alle famiglie, per fare in modo che non esistano più segreti all'interno del nucleo, per permettere al bambino e all'adolescente di sentirsi accolto anche con questa caratteristica. E' molto importante che i genitori capiscano che si tratta di una condizione non di una "scelta", che inevitabilmente implica la possibilità di non scegliere.
Questa errata convinzione spesso porta le famiglie a colpevolizzare i propri figli e a pensare che il desiderio di cambiare sia una scelta egoistica che non tiene conto dei bisogni dei genitori. Quanti adulti abbiamo incontrato che per il desiderio di non far soffrire i propri genitori hanno represso la propria identità portandone avanti una fittizia; questa modalità inevitabilmente conduce alla sofferenza psichica e allo sviluppo di problematiche psicologiche molto serie.
La storia di Marisa ancora non è finita, nel mio lavoro mi sono resa conto che la vita a volte si accanisce con alcune persone in particolare, Marisa è una di queste.
All'età di trent'anni subì uno stupro da parte di un gruppo di ragazzi, questo comportò il ricovero in ospedale per più di tre mesi e poco dopo si accorse di aver contratto in quell'occasione l'HIV.
Lei oramai aveva sviluppato una corazza emotiva che la difendeva dai drammi più terrificanti, di fronte ai quali tante altre persone sarebbero già morte. Lei no, riuscì anche questa volta a sollevarsi e a perseguire il suo obiettivo con fermezza e dignità.
Nel lavoro con i bambini e gli adolescenti spesso dobbiamo fare i conti con l'aggressività che alcune persone manifestano di fronte a una persona transessuale. Durante il percorso scolastico questi ragazzi devono fare fronte alle continue prese in giro, ai pregiudizi esistenti intorno a questo tema e all'emarginazione che ne deriva. In alcuni casi lasciano la scuola e si ritirano in casa, ambiente che li protegge da tutta questa cattiveria.
Per tali motivi nel nostro lavoro ci troviamo a lavorare con le scuole che frequentano i ragazzi con DIG, parliamo con i professori, con i ragazzi e cerchiamo di agevolare il più possibile il percorso scolastico che è fondamentale per la formazione di un adolescente.
Spesso dico alle persone con cui lavoro e ai loro familiari che dobbiamo essere promotori di un cambiamento culturale, che inevitabilmente deve partire da noi che conosciamo profondamente questa realtà. Ognuno di noi può fare qualcosa per perseguire quest'obiettivo, parlando con il vicino di casa, con il panettiere e con il genitore del compagno di scuola del proprio figlio. E il cambiamento culturale è in parte già avvenuto, ma ancora tanta strada c'è da fare.
Marisa arrivò nel nostro Servizio all'età di cinquant'anni, le sembrò incredibile che esistesse un servizio pubblico, composto da medici e psicologi, che potesse aiutarla nel raggiungere il suo obiettivo, e che felicità quando seppe che l'intervento di vaginoplastica era gratuito!
Tutto sembrava andare per il meglio, ottenne la Sentenza per la rettificazione chirurgica di sesso e si mise in lista d'attesa per l'intervento chirurgico, non aveva più bisogno di niente. Purtroppo due anni fa le fu diagnosticata una forma rarissima di tumore, la chemioterapia non funzionò come la prima volta. Continuò a lottare. E nel momento in cui ci siamo resi conto che non avrebbe potuto affrontare un intervento chirurgico come quello della vaginoplastica, abbiamo pensato di poter procedere con la richiesta per il cambio dei dati anagrafici.
Marisa più volte mi ha detto che sulla sua tomba voleva il suo nome e non quello maschile, mi diceva che anche se fosse stata l'ultima cosa che avesse fatto, avrebbe voluto avere una vagina. Questo non è stato possibile. Allo stesso tempo il nostro Servizio le ha permesso di sentirsi accolta e amata e, soprattutto, di avere progetti concreti su cui credere.
Grazie Marisa, ti porterò sempre nel mio cuore.
Maddalena Mosconi
Psicologa-psicoterapeuta, esperta in transessualismo
Azienda Ospedaliera S.Camillo-Forlanini Di Roma , Maddalena Mosconi , Riassegnazione Chirurgica Di Sess , Servizio Per l'Adeguamento Tra Identità Fisica e Identità Psichica-SAIFIP
Pubblicato: 02/01/2013 06:00 su HUFFINGTON POST
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