Σάββατο 31 Αυγούστου 2013

Mamma-papà o genitore? Le parole contano

Venezia, un segnale contro la discriminazione

Ha del coraggio e lo dimostra Camilla Seibezzi, la delegata del sindaco di Venezia ai Diritti Civili ed alle Politiche contro le discriminazioni. Le critiche che le son piovute addosso non l’hanno scalfita e, determinata prosegue il suo lavoro iniziato già un paio di anni fa.
Ma, cosa ha fatto Camilla Seibezzi per ricevere le critiche? Nella modulistica per l’iscrizione alle scuole dell’infanzia del comune di Venezia ha fatto togliere la dicitura figlio di – madre – e figlio di- padre. Di fatto, non comparirà più tra le generalità dei bambini l’espressione: mamma o papà ma semplicemente – Genitore 1 e Genitore 2. In questo modo vengono tutelati i diritti delle coppie omosessuali. Se vogliamo modificare ed azzerare l’omofobia, giustamente è necessario partire dalle basi ed eliminare le parole sessiste è il modo giusto per iniziare. Quindi… niente più mamma o papà ma genitore 1 e genitore 2.
La novità riguarda anche i bandi per l’assegnazione delle case popolari, le coppie omosessuali possono concorrere per vedersi assegnare un alloggio. Certo, a molti non piace questa apertura di genere ma se davvero vogliamo creare una cultura libera dai vincoli è necessario lavorare per eliminare dal vocabolario il termine “discriminazione” di qualsivoglia genere si parli.
Che dire allora, se non brava, ad una donna che ha dato una zampata graffiante all’opinione pubblica per svegliare la sua coscienza sopita?

Per modificare il sistema di convinzioni di una cultura radicata è necessario partire dalle piccole cose che fanno la differenza. Le parole scritte, soprattutto nella rappresentazione mentale di un bambino che sta costruendo la sua conoscenza del mondo, sono quelle che resteranno impresse per sempre. Nessuna scolorina o gomma da cancellare potrà modificare le prime convinzioni che nascono oltre che dagli atteggiamenti anche dalle parole verbalizzate. Se fin da subito vengono proposti dei titoli che superano il genere sessuale, abbiamo buone probabilità di vedere cadere il tabù dell’omofobia.

 Rosalba Trabalzini


Un passo avanti nella battaglia per i diritti arriva da Venezia. Che cancellerà dai moduli di iscrizione a scuole e asili le parole “mamma” e “papà“, sostituendole con “genitore 1” e “genitore 2“.
Perchè famiglia è dove c’è amore, accudimento, rispetto, sostegno.
L’amore è un sentimento, non una questione di orientamento sessuale o di genere.
L’amore è la capacità di crescere un figlio in un ambiente sereno, valorizzandolo, dandogli sicurezza e serenità.
Un papà maschio e una mamma femmina sono genitori migliori di una coppia formata da due uomini o da due donne? Un papà e una mamma “biologici” sono genitori migliori di una coppia adottiva? Non c’è nessuna statistica che lo dimostri.
Al contrario, le “coppie arcobaleno”, omogenitoriali, si distinguono (in meglio) proprio per la forte empatia con i loro figli, per la capacità di comprensione, per la profondità di relazioni basate sul rispetto di sentimenti e aspirazioni.
Resta il muro della burocrazia, delle leggi, delle istituzioni.
La discriminazione si nutre anche delle parole “sbagliate”.
Le parole contano.
Un papà è una mamma non sono più genitori  (nè migliori) di due mamme o di due papà.
Cambiare il linguaggio è un obiettivo fondamentale per contrastare gli stereotipi – spiega l’ideatrice del provvedimento veneziano, Camilla Seibezzi (nella foto), illuminata consigliera del Comune di Venezia, con delega ai diritti civili e alle Politiche contro la discriminazione – . La modulistica costituisce una categoria di pensiero. Mi occuperò anche di modificare i testi per l’infanzia, in modo che la differenza sia presentata come una realtà esistente e di pari dignità“.
Le differenze esistono: c’è chi nasce biondo, chi con gli occhi verdi, chi bianco, chi nero, chi eterosessuale, chi gay.
Differenze naturali, da accogliere e rispettare.
La storia va avanti, la società anche, i diritti civili devono adeguarsi al cambiamento, al progresso culturale e civile.
La rivoluzione dei diritti parte dalle parole.

di Francesca Visentin - Donne e Uomini

 http://www.comune.venezia.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/66773?utm_source=twitterfeed&utm_medium=facebook#.UiHoEhYTpJU.facebook

  Don't say mum and dad... teachers told not to assume pupils have heterosexual parents

By LAURA CLARK
Last updated at 10:48 30 January 2008

Teachers should not assume that their pupils have a "mum and dad" under guidance aimed at tackling anti-gay bullying in schools.
It says primary pupils as young as four should be familiarised with the idea of same-sex couples to help combat homophobic attitudes.
Teachers should attempt to avoid assumptions that pupils will have a conventional family background, it urges.
parent
Pupils are enlisted in the war on homophobia
It goes on to suggest the word "parents" may be more appropriate than "mum and dad", particularly in letters and emails to the child's home.
When discussing marriage with secondary pupils, teachers should also educate pupils about civil partnerships and gay adoption rights.
The guidance - produced for the Government by gay rights group Stonewall - will be formally launched today by Schools Secretary Ed Balls.
It states that children who call classmates "gay" should be treated the same as racists as part of a "zero tolerance" crackdown on the use of the word as an insult.
Teachers should avoid telling boys to "be a man" or accuse them of behaving like a "bunch of women".
This sort of rebuke "leads to bullying of those who do not conform to fixed ideas about gender", the guidance states.
At the same time, schools should encourage gay role models among staff, parents and governors. Homosexual staff should be able to discuss their private lives after the consultation with the head teacher.
In advice to gay staff, it states: "School culture and ethos determines how open staff are about their private lives, and you should therefore seek advice and guidance from your head."
The Department for Children, Schools and Families commissioned Stonewall to write the guidance jointly with lobby group Education Action Challenging Homophobia.
It says that pupils aged four to seven should "understand that not all pupils have a mum and a dad" and learn about different family structures.
Advice to teachers of 11 to 14-year-olds states: "Schools should make efforts to talk inclusively about same-sex parents, for example, avoid assuming all pupils will have a "mum and dad".
"When schools discuss marriage, they may also discuss civil partnership and adoption rights for gay people."
In a section on engaging with parents, it asks schools: "Do you talk about 'parents' instead of assuming all pupils have 'mum or a dad'?"
The advice goes on to urge teachers to challenge every derogatory use of the word gay to avert homophobic attitudes.
Examples include "those trainers are so gay", "that pencil case is so gay" or "you're such a gay boy".
One primary teacher quoted in the guidance said: "We hear 'gay' as a term of abuse every single day. The children may not know exactly what it means, but they know they are using it as an insult. That's why we need to tackle it at this stage."
Controversy over the semantics of the word erupted two years ago when the BBC ruled that Radio One DJ Chris Moyles was not being offensive to homosexuals by using the word "gay" to mean "rubbish".
The advice says: "It is important for all staff to challenge pupils, explaining the consequences of using 'gay' in a derogatory way.
"It might be time-consuming at first, but a consistent 'zero-tolerance' approach to such language is central to achieving progress and an environment in which being gay is not thought of as being inferior."
It adds: "Schools need to make it clear to pupils that homophobic comments are as serious as racist comments, and homophobic incidents are as serious as other forms of bullying."
Teachers should use every curriculum subject to nip discriminatory attitudes in the bud.
English lessons for teenagers, for example, could focus on the emotions of the gay Italian soldier Carlo in Captain Corelli's Mandolin.
The guidance is being published five years after the repeal of Section 28 - the law which banned the promotion of homosexuality in schools.
Ministers promised the move would make no difference to the teaching of homosexual matters but some critics have claimed the gay lobby is having a growing influence on pupils.
Next month is Lesbian, Gay, Bisexual and Transgender History Month, where pupils learn about apparently gay figures from history including Leonardo da Vinci, Oscar Wilde and James Dean.
Mr Balls, who will launch the anti-bullying guidance at a Stonewall conference today, said: "I am proud the Government and the department are being robust about this.
"It is our view that every school should have a clear policy on tackling all forms of bullying, including homophobic bullying.


Read more: http://www.dailymail.co.uk/news/article-511209/Dont-say-mum-dad--teachers-told-assume-pupils-heterosexual-parents.html#ixzz2itmxnr4y
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Il diritto dei figli di tutti viene prima di tutto. I bambini vanno tutelati nei loro legami affettivi. La proposta di inserire “genitore” nei moduli di iscrizione scolastica non è accompagnato da alcun numero né deve indicare gerarchie: dunque né 1 né 2. E’ questo il termine che ad oggi meglio descrive la capacità di crescere i figli così come evidenzia anche l’evoluzione del diritto minorile: non si parla più di patria potestà, bensì di potestà genitoriale. Si continuerà ad essere padri e madri. Tutti. Semplicemente “genitore”. Il termine sostituirà padre e madre al fine di porre l’accento sulla capacità genitoriale e non sulla funzione riproduttiva. Il termine genitore seguito da più spazi permette di definire la realtà famigliare dei bambini a prescindere dal tipo di famiglia: si può avere un solo genitore per scelta o per lutto, una coppia di genitori eterosessuali o omosessuali, famiglie ricomposte, genitori adottivi o affidatari. Tutti sono compresi dal termine genitore. Essere cittadino italiano non significa venire umiliato nella propria identità regionale né dignità di cittadino. Genitore comprende tutti, è l’estensione di un diritto non la sua cancellazione. Non esiste pari dignità se non si hanno pari diritti.  Camilla Seibezzi

http://www.ansa.it/web/notizie/videogallery/italia/2013/08/31/Via-mamma-papa-moduli-polemica_9225240.htm

Camilla Seibezzi ha un bel sorriso, una bella faccia veneta, ispira simpatia e calore. Il suo incarico, al comune di Venezia, è “delegata del sindaco per i diritti civili”. E’ una donna coraggiosa: ogni giorno, qualcuno la minaccia di morte. La sua colpa? Vorrebbe sostituire, nei moduli scolastici, due parole: madre e padre. E scrivere, al loro posto, semplicemente, il ruolo: genitore. Un modo per evitare le discriminazioni nei confronti dei piccoli che hanno un solo genitore, o magari ne hanno due dello stesso sesso. In Europa, è una prassi normale, indicare il o i genitori in modo neutro. Qui da noi, non si toccano i fondamentali pilastri della civiltà: mamma e papà. Chiaro che si tratta soltanto di burocrazia, di certificati, di asettici moduli da archiviare. I sentimenti abitano altrove, spesso lontanissimo dalle segreterie scolastiche, nessuno li metterà in discussione. Eppure, la povera Seibezzi, ha finito col mettere in imbarazzo persino il sindaco Giorgio Orsoni. Io vorrei – da queste righe – abbracciarla forte. Ho vissuto, come madre affidataria, il dramma dei doppi cognomi e degli interrogatori burocratici. Non ero madre, eppure ero genitore: nessuno trovava mai le parole per dirlo. Anzi. C’è un immenso distacco fra le strutture della parentela reale e i libri di testo della scuola dell’obbligo, per esempio.  Nella sua tradizionale pigrizia, la didattica procede senza accorgersi – spesso – di quello che accade fuori dai cancelli o davanti ai suoi occhi. I ragazzini adottivi sono tormentati da richieste impossibili, alle elementari: portaci la foto del battesimo, la prima scarpina, la foto dei nonni e varie altre piacevolezze. Sembra che per far capire la storia ai piccoli – questa era la risposta colta che mi veniva scagliata contro – ci sia bisogno, anziché di Romolo e Remo e della lupa che li allatta, delle tracce della propria nascita. I figli di ragazze single devono fare il tema sul papà, gli orfani sono spesso umiliati perché qualcuno manca nella storia di famiglia.
Abbraccio Camilla Seibezzi anche perché sono credente e ritengo che le famiglie siano tenute insieme dall’amore e non dai certificati. Penso che una famiglia regolare possa essere pessima e una famiglia strampalata ottima. Penso, soprattutto, che non siano i nomi a renderci padre o madre. Spero davvero che la polizia rintracci chi ha osato aggredire questa donna. Continua la tua battaglia, Camilla. Anche per tutti noi, genitori irregolari eppure madri e padri a tempo pieno.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
di Barbara Palombelli

Il fantasma di mia moglie . Posted by The Queen Father


Salve a tutti!

Prima di iniziare con il panico e le domande lasciatemi chiarire un paio di cosette:
-Sì, sono ancora gay più che mai ed impazzisco per gli uomini in generale e mio marito in particolare.
-Sì, credo nel paranormale e in una dimensione extrasensoriale dove Berlusconi è gay, il Papa è bello e l’Italia è un paese ricchissimo e pieno di gente felice.
-No, non vedo le anime dei morti. Per due motivi: sono terribilmente miope e sono sempre di fronte al computer. 
Però ci credo.
Il mio fantasma è comunque metaforico, ma non per questo meno presente!
Beh, per cominciare, devo confessarvi che ogni tanto, anche se non mi piace ammetterlo dal momento che sono abbastanza snob e me la tiro (...non proprio dai.... sono una brava persona... chiedete a chi vi pare ... a parte che a mia cugina Dina, che è una gran zoccola...), come dicevo, a volte, quando il latte in frigo diventa ricotta e la frutta bussa che vuole uscire a sgranchirsi le gambe, ripiego sul supermercatino pulciaro che c’e’ qui dietro, giusto per praticità e velocità. 


Capito cosa intendo?

Dai, li conoscete tutti quei negozietti con la porta piccola piccola ed i prodotti che sembrano quelli di marca che usiamo tutti i giorni, il packaging è quello, poi ti metti a leggere ed è tutto scritto in polacco...
Ora, non c'è assolutamente niente di male nel fare lo shopping in supermercatini dal nome strano, mezzi bui, e col pavimento che ti si appiccica sotto alle scarpe davanti allo scaffale delle bibite. Anzi! 
Devo ammettere che la gamma dei  prodotti in offerta è sorprendente davvero. 
In più ci andiamo a piedi, io e il Fürer. 
Niente menate per trovar parcheggio vicino casa al ritorno.
Le cose che però mi stanno un po’ sul culo sono le seguenti:
  • Il personale prevalentemente indiano parla un inglese che non riesco a capire (.. e forse è colpa mia...)
  • Le bottiglie di vino vengono incatenate agli scaffali (...sì, anche le bottiglie da £1,99  di sverniciatore industriale spagnolo...) e devi sempre chiamare Ahmed che è l'unico in Inghilterra che ha la chiave e non si sa mai dove cavolo sta, ma quando arriva c'ha sempre due pupille come due piadine e parla come un telegrafo.
  • C’è una presenza allarmante di adolescenti incinte e rozze che camminano in giro per il negozio, con i capelli legati a coda di lato (da multare...), i pantacollant con le smagliature, che sputano sul pavimento e allumano la gente, quasi come se fossero gatte gravide in cerca di una rissa. 
  • Ogni volta che vado a far la spesa, mi offrono una card per fare la raccolta punti, malgrado io ne abbia già una scorta fenomenale a casa con la quale potrei tranquillamente ripiastrellare il bagno.
  •  Glenda la cassiera mi chiede sempre di mia moglie.
Non so a voi, ma a me queste fanno paura...

Ok, non mi dispiace fare un po’ di chiacchiere, amo la gente cordiale che attacca bottone  negli ascensori, alla fermata degli autobus, in palestra, e perché no, al supermercato. 
È così americana ‘sta cosa e io amo gli americani. 
Dico questo perché a Londra, le poche volte che uno sconosciuto mi ha rivolto la parola in 14 anni ( a parte quando frequentavo locali da rimorchio...), è sempre stato per chiedermi di non spingere in fila, di abbassare il volume del mio Ipod, di togliermi dalle palle che col passeggino non ci passa o di rallentare alla guida del mio 500.
In America tutti sono molto più amichevoli. 
Ma ancora una volta, sto divagando.
Vi dicevo di Glenda...
Glenda è particolare.
Prima di tutto devo dire che il suo aspetto è già qualcosa di straordinario. 
Glenda è una donna di colore (è abbastanza PC? Posso farla franca dicendo che è nera?).
È piuttosto in carne, ama indossare tutti i colori dello spettro visibile (ed invisibile) in un solo outfit, ha una grande faccia placida e sorridente ed una parrucca di poliestere color prugna.

Questa è in realtà non è Glenda, ma un'attrice comica di quassù... Little Miss Jocelyn... 

La stessa parrucca non sembra essere fissata in alcun modo alla testa e sembra muoversi per conto suo, proprio come fosse un cagnolino accoccolato sulla testa del suo proprietario. 
La puoi guardare due volte di seguito ed accorgerti che si è già mossa.
Lo stile della parrucca è un carré con frangetta, ha la lucentezza e l'aspetto del filo da pesca e, il più delle volte, è indossata al contrario. 
Con la frangetta che va da orecchio a orecchio attraverso la nuca.
Magari pensa che sia un cappello e la indossa in modi diversi a seconda dell'umore.
Ovviamente questa cosa mi uccide.
La trovo così istericamente divertente che quando Glenda ha la parrucca fuori posto io pago sempre alla cassa automatica perché non riesco proprio a trattenermi dal ridere.
Posso provare a ignorarla, ma Gabriel inizia a fissarla, privo di espressione e con la boccuccia aperta, dicendo “Puppy! Puppy!” (che significa appunto, cucciolo... di cane.... vedete che non immagino niente?) e la cosa mi ribalta dalle risate al punto da farmela addosso.
Avoglia a nascondersi dietro il passeggino.
Nonostante gli evidenti elementi di ridicolo in lei, devo dire che Glenda è una persona molto carina.
Sempre sorridente, sempre alla ricerca di modi di essermi utile. 
Sempre alla ricerca di modi per farmi risparmiare (visto che sono un uomo e gli uomini sembra siano inetti a fare la spesa...).
"Perché hai comprato questo sapone per i pavimenti? La marca nostra è molto più conveniente!!!".
(Verissimo, ma odora di piscio di gatto e probabilmente lo è. No grazie Glenda).
"Oh, grazie ... Ma io uso sempre questo ..." rispondo puntualmente sorridendo.
"Abbi del tuo che nulla ti manca!" è la sua risposta abituale, con alzata di spalle. Qualunque cosa significhi.
In ogni caso, a volte Glenda mi ha posto le seguenti domande alludendo a mia moglie. 
Divido le domande in tre categorie per amor di precisione:
Categoria A: Vaghe e Generiche

  • 'Che carino che sei a prendere con te il bambino per fare la spesa e dare a mamma un po’ di respiro'
  • ‘Oh, è il tuo turno oggi a portare il bambino fuori?'
  • 'Che marito premuroso! Mamma è dal parrucchiere?'
Categoria B: Del Tutto Invadenti

  • 'Guarda che begli occhi che ha. Devono essere della sua mamma perchè non sono come quelli del suo papà’
  • 'Hai litigato con tua moglie? Di solito molliamo i piccoli col padre quando vogliamo fargli una ripicca!'
  • 'Che bella testa rotonda che ha! Tua moglie deve averlo avuto tramite taglio cesareo vero? Gli altri escono con la testa a pera...'
Categoria C: Delirium Tremens

  • 'Uh! Ciao tesoro! Sei di nuovo qui? Ti ho visto questa mattina con la  mamma sai?!'
  • 'Come sta tua moglie? Non la vedo dalla scorsa settimana!'
  • 'Che bel pupo che è ... Assomiglia tutto alla mamma! '
Glenda sembra avere le idee chiare circa l’aspetto fisico di mia moglie, quanto spesso faccia la spesa nel negozio e come abbia partorito. Chissà, magari riesce anche ad indovinare se io fossi presente in sala parto o meno dalla forma della testa di Gabriel....
C'è solo un problema. 
Mia moglie non esiste.
Fosse lei la Signora Queen Father a cui Glenda si riferisce?
Lo ammetto, forse il fatto che Glenda si ritrovi intrappolata in un universo parallelo dove io sono etero ed ho una moglie, è in parte colpa mia, per non aver chiarito la cosa alla prima occasione.
Di solito non ho problemi a farlo, ma la ‘ruvidità’ dell’ambiente di un supermercato costruito accanto ad una casa popolare, mi ha fatto sempre desistere dalla mia intenzione. 
Così ho tenuto la bocca chiusa.
Sono molto divertito dalla cosa, ma mi ha lasciato con una curiosità enorme di scoprire chi sia mia moglie virtuale...


E mo' chi è ‘sta stronza che va in giro come la Signora Queen Father???
Abita solo nel cervello di Glenda o è una persona in carne e ossa  scelta a caso, dando per scontato "Questa deve essere sua moglie...”?
Più spaventosamente, è una tipa raffinata e rispettabile o una di quelle adolescenti panzone agli arresti domiciliari?
Temo di non aver risposta a queste domande.... 
Vedremo, forse farò outing con Glenda uno di questi giorni, così poi toccherà a lei tirar fuori la verità. 
Magari dalla parrucca.
TQF x

Παρασκευή 30 Αυγούστου 2013

Examined Life - Judith Butler & Sunaura Taylor


Judith Butler and Sunaura Taylor went for a walk and engaged in a terrific conversation about disability as not merely some physical status but largely a social status, and that is also true for so called "able-bodied" persons.

Τρίτη 27 Αυγούστου 2013

Edificio 17A - Il lungo sonno

http://sadeide.blogspot.it/2013/08/edificio-17a-il-lungo-sonno.html



Non so cosa sia successo. Sono andato via con la testa. Troppo fentanil, che è più potente della morfina. Quanto potente? Cento volte di più. Forse le due sostanze si sono incontrate e accumulate . Nessuno sa darmi spiegazioni. Nessuno. Tutti a preoccuparsi per me. Tutti a controllare che io fossi sveglio. Ricordo: l'incontro con una strana persona. Un'assemblea. Un gatto che girava su se stesso. Il nulla. Mi venivano in mente: l'immagine di mio fratello seduto sulla poltrona che c'è in camera. Mi parlavano anche Claudia e Filippo. Filippo che ho voluto abbracciare, che cercavo continuamente. Avrei voluto alzarmi. Ma tutti, compreso Giuseppe l'infermiere, anche lui presente nella stanza, si opponevano. Solo alle venti sono riuscito ad alzarmi. Ho mangiucchiato qualcosa. Mio fratello va via insieme a Filippo. Filippo per dare da mangiare a Giuggiola e Santino, i nostri due mici. Poi ritorna. Sempre accompagnato da Pino in macchina. Anche Claudia se ne torna a casa. Resto da solo con Filippo. Apro il Gohonzon. Faccio fatica a concludere la preghiera. Mi metto a scrivere queste note con continui flash. Non capisco se sono fatti realmente accaduti o sono cose che ho sognato in questi giorni. Interrompono la scrittura. Riprendo non riuscendo a capire del tutto. In fondo, questo mi ha spinto a fare cinque anni di analisi. Solo che adesso è diverso. Non mi fa più paura. Posso affrontarlo. Vivo battagliando continuamente. Se vinco o perdo è secondario. L'importante è come vivo questo. Io cerco di viverle da vero guerriero.
Palermo, 21 agosto 2013

 Salvatore Rizzuto Adelfio con il compagno Filippo Messina al Palermo Pride 2013




Il lungo sonno è l'ultimo capitolo che Salvatore, mio compagno di vita per tredici anni, mi ha chiesto di rivedere prima che il veloce progredire della malattia mettesse fine a questa avventura letteraria. Un diario di vitalità e una testimonianza di dignità che merita una conclusione, sia pure non scritta dal suo autore principale.
Salvatore nella sua vita è stato mille cose. Tutte diverse. Ma non si è mai pianto addosso. Non più di cinque minuti, almeno. Non parlerò, per questo, del suo rapido declino, ma di quella luce che fino all'ultimo ha continuato a rischiarare quanti erano vicino a lui, nonostante la fine del viaggio fosse ormai vicina. Con questo diario, Salvatore ha mostrato a tutti il vero significato della parola resistenza, e l'inarrestabile forza di una creatività che non si arrende neppure davanti alla disfatta. Salvatore ha comunque vinto sulla malattia. Facendole le boccacce, osservandola, e crescendo in umanità fino all'ultimo giorno a dispetto di tutto. Guardandosi indietro, non poteva essere che così. Una mente come la sua, un cuore come il suo, che tanto hanno dato alla città di Palermo, vivono in queste pagine come in ogni iniziativa presa in una vita vissuta intensamente come pochi sono riusciti a fare.
Un guerriero del quotidiano, e un uomo capace di suscitare esplosioni artistiche in tutti coloro che lo avvicinavano, come un allegro contagio. Salvatore è stato questo: un meraviglioso catalizzatore di vita. Ci auguriamo tutti che continui a esserlo per quanti lo hanno conosciuto attraverso queste pagine.
Saluto l'amore della mia vita, il mio migliore amico, con una delle più note poesie di Eugenio Montale. Parole appropriate per una persona immensa come lui.

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.


Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.


Eugenio Montale
 
Tra i padri fondatori del movimento lgbt italiano, Salvatore Rizzuto Adelfio se n'è andato per un cancro. La sua fumetteria, AltroQuando, punto di riferimento per la cultura indipendente palermitana. 

Salvatore Rizzuto Adelfio nella sua fumetteria
Salvatore Rizzuto Adelfio nella sua fumetteria
Dopo una lunga guerra contro un cancro che non gli ha lasciato scampo, si è spento ieri a Palermo Salvatore Rizzuto Adelfio, attivista di vecchia data e tra i padri del movimento lgbt italiano, anima della comunità bear e fondatore, nel 1991, della fumetteria AltroQuando , che con la sua vetrina sul Cassaro, corso principale del centro storico cittadini, è stata da subito punto di riferimento non solo di gay e lesbiche palermitane, ma di tutti coloro che amano i fumetti, le controculture, l'informazione e l'arte indipendente e che sono sempre andati alla ricerca di stimoli che Salvatore e, poi, il suo compagno Filippo sapevano sempre dare. Negli ultimi mesi AltroQuando stava attraversando una crisi dovuta anche alla contingenza economica del Paese, ma Salvo e Filippo stavano lottando strenuamente per tenerla aperta valutando l'idea di darla in gestione e di dare vita ad un'associazione che continuasse a proporre mostre, incontri e attività culturali come aveva fatto la fumetteria.
Sessantadue anni, "Totò", come lo chiamavano gli amici, è stato tra i primi militanti del F.U.O.R.I. Giunta l'età del servizio militare, Salvatore lasciò l'Italia facendone una battaglia politica che lo portò ad essere il primo gay dichiarato a fruire della legge sull'obiezione di coscienza.
Neanche durante i mesi della sua malattia ha mai perso l'ironia, l'autoironia e lo spirito combattivo che hanno sempre caratterizzato la sua vita. Trapela tutto dal diario che lo stesso Salvatore ha tenuto , raccontando con il suo inconfondibile piglio quello che accadeva intorno a sé, alla sua mente ed al suo corpo impegnato in quella che definiva "sfida, non problema", che non lo ha mai fermato: non ha voluto, infatti, mancare al Palermo Pride dello scorso giugno. 

Pace e bene.”
Esordisce così. Entrando nella mia stanza. E già non mi piace. Naturalmente è uno di quei frati che girano per gli ospedali. Cercano allocchi ai quali raccontare le loro favolette. Oggi è la giornata giusta. Ero leggermente annoiato e lui mi ha regalato un diversivo.
Guardi, non sono cattolico.”
Appartiene ad un'altra bottega?”
Sì, come lei dice, appartengo ad un'altra bottega.”
Possiamo parlare un poco lo stesso?”
Se vuole fare proselitismo, ha sbagliato di grosso. Alla mia età, come favole continuo a preferire “Il piccolo principe” alle vostre.”
Posso sedermi?”
Gli dico di sì. Gli sciorino le stragi, il sangue versato dalla chiesa cattolica, le donne trattate come streghe. Gli stramini che hanno seminato per il mondo. Culture e interi popoli distrutti. Storia che fino ad oggi non è finita. Con la faccia contrita mi dice che lui è qui solo come un umile frate di nome Franco.
Ma l'umile frate,” gli dico “ Appartiene o no a quella chiesa che ha sede in Vaticano? Quindi se lei viene da me con quell'abito e quei simboli rappresenta quella istituzione. Erede dello scempio fatto nel mondo. Io rispetto persone come Don Gallo, Don Ciotti o Don Puglisi. Non tutto il resto.”
Vede che qualcosa di buono c'è?”
“Mosche bianche in mezzo ad un branco di lupi.”
Papa Francesco...”
E basta con questo papa Francesco! Tutto chiacchiere e tabacchiere di legno. Quello che sta facendo è un restyling per continuare a vendere lo stesso prodotto sporco di nefandezze. Non mi sembra diverso dagli altri. Ha solo cambiato tattica.”
Vedrà, invece qualcosa la sta smuovendo seriamente.”
Il vero cambiamento ci sarà quando abolirete le collusioni con la mafia. La banca che ricicla soldi mafiosi e fa affari sporchi per il mondo. Qui a Palermo la vostra chiesa metteva i bastoni fra le ruote a Don Puglisi quando era vivo. Lo ostacolavano, gli negavano aiuti, lo hanno fatto ammazzare. Una volta morto lo hanno fatto beato. Una vera vergogna. Questo è il vostro modo di comportarvi.”
Inizia tutta una filippica, iniziando dal concepimento che è un atto dove è intervenuto dio. Ed io ingenuamente pensavo c'entrassero solo mia madre e mio padre. Continua sostenendo che ci sentiamo tutti dei padri eterni pronti a giudicare gli altri. Che poi è quello che fanno loro. E allora gli parlo di fatti e di strade da scegliere. Fatti. Don Puglisi lavorava in un quartiere ad alta densità mafiosa. Cercava di portare un minimo di giustizia, di cultura antimafiosa. Fra mille disagi, fino a sfidare la morte per questo. Dall'altra, una chiesa sorda ad ogni richiesta di sostegno e aiuto da parte di quel prete. Una chiesa pronta ad aiutare un mafioso... che è sempre un figlio di dio, no? Gli chiedo secondo lui chi segue la strada del bene e chi quella del male.Si impirugghia e mi comincia a dire che la chiesa...
Guardi che se lei continua a difendere questa chiesa lei è complice tanto quanto loro.”
Sta per proseguire con la sua arringa difensiva.
Ho capito,” gli dico. “Visto che insiste in questo modo, trovo che lei non sia degno di stare in questa stanza. Io non parlo con le persone che difendono chi è colluso con la mafia. Reputo lei allo stesso livello. Colpevole quanto loro. Quindi, lì c'è la porta. E' pregato di andare via. Non bussi più a questa stanza. Si ricordi dov'è, e la prossima volta la eviti accuratamente.”
Lo accompagno alla porta, facendogli segno con la mano di smammare.
La noia si è allentata un poco. Sono pronto e carico.


Avanti il prossimo.

Δευτέρα 26 Αυγούστου 2013

As a gay parent I must flee Russia or lose my children

http://live.huffingtonpost.com/r/segment/gay-russian-journalist-flees-country/520be3ec2b8c2a4c13000171

The first time I heard about legislation banning "homosexual propaganda", I thought it was funny. Quaint. I thought the last time anyone had used those words in earnest I had been a kid and my girlfriend hadn't been born yet. Whatever they meant when they enacted laws against "homosexual propaganda" in the small towns of Ryazan or Kostroma, it could not have anything to do with reality, me or the present day. This was a bit less than two years ago.
What woke me up was a friend who messaged me on Facebook: "I am worried about how this might impact you and other LGBT people with families." This was enough to get my imagination working. Whatever they meant by "homosexual propaganda", I probably did it. I had two kids and a third on the way (my girlfriend was pregnant), which would mean I probably did it in front of minors. And this, in turn, meant the laws could in fact apply to me. First, I would be hauled in for administrative offences and fined and then, inevitably, social services would get involved.





That was enough to get me to read the legislation, which by now had been passed in about 10 towns and was about to become law in St Petersburg, the second-largest city in the country. Here is what I read: homosexual propaganda was defined as "the purposeful and uncontrolled distribution of information that can harm the spiritual or physical health of a minor, including forming the erroneous impression of the social equality of traditional and non-traditional marital relations".
Russia has a lot of poorly written laws and regulations that contradict its own constitution, but this one was different. Like other contemporary laws, it was so vaguely worded that it encouraged corruption and extortion (fines for "homosexual propaganda" are backbreaking) and made selective enforcement inevitable. But it also did something that had never been done in Russian law before: it enshrined second-class citizenship for LGBT people. Think about it: it made it an offence to claim social equality.


St Petersburg passed the law in March 2012. I no longer thought it was funny. I actually choked up when I saw the news item about the bill being proposed at the federal level. My girlfriend had recently had a baby and this, among other things, meant we needed to sell our tiny cars and trade up to something that accommodated three kids and a pram. I asked her: "Are we doing this or do we just need to get out of the country?" We decided we were doing it. We are fighters, not quitters.
So I launched the pink-triangle campaign. I went on TVRain, independent internet and satellite-based television and recorded a segment showing pictures of my family and explaining how the law would make it a crime to say my family was equal to other families. I explained the history of the pink triangle. I called on people who did not want to see fascism in Russia to put on pink triangles.
Though I have always been publicly out, I had never done what I did then – talked about my family and asked to be seen as a lesbian rather than a journalist first. It seemed to work beautifully. People wrote to me and came up to me in the street. I had had 6,000 pink triangles printed up and I got rid of most of them within a few weeks.

The public chamber, an extraparliamentary body formed by the Kremlin, scheduled a hearing on the legislation. I testified, as did a number of human rights activists I respected. The chair read out a draft resolution. I also received private assurances from highly placed officials present that the legislation would never make it to the parliament's floor.
That was a year ago. The public chamber's resolution never materialised. In January 2013, the Duma passed the bill in first reading. The protesters who came to the parliament building that day were beaten up. There had been anti-gay violence in Russia before, most notably when a group of activists had attempted to hold a gay pride celebration in Moscow, but never like this: brutal beatings in broad daylight as the police looked on – and eventually detained the protesters, not the attackers.


One of my closest friends took part in the protest at the Duma that day. The following day, he was fired from his job teaching biology at one of the city's better schools. He was eventually reinstated after a public outcry – he was arguably the city's best-known teacher, with his own podcast and television and radio series – but I knew one thing: if he had been a gay man rather than a heterosexual ally, he would never teach in the city again. Oh, and around the same time, Moscow City court banned gay pride celebrations for the next 100 years.


In March, the St Petersburg legislator who had become a spokesman for the law started mentioning me and my "perverted family" in his interviews. I contacted an adoption lawyer asking whether I had reason to worry that social services would go after my family and attempt to remove my oldest son, whom I adopted in 2000. The lawyer wrote back telling me to instruct my son to run if he is approached by strangers and concluding: "The answer to your question is at the airport."
In June, the "homosexual propaganda" bill became federal law. The Duma passed a ban on adoptions by same-sex couples and by single people living in countries where same-sex marriage is legal. The head of the parliamentary committee on the family pledged to create a mechanism for removing children from same-sex families.


Two things happened to me the same month: I was beaten up in front of parliament for the first time and I realised that in all my interactions, including professional ones, I no longer felt I was perceived as a journalist first: I am now a person with a pink triangle.
My family is moving to New York. We have the money and documents needed to do that with relative ease – unlike thousands of other LGBT families and individuals in Russia.


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