12 settembre, 2013 |
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di Elisa Battaglia
La England and Wales High Court ha
stabilito un precedente destinato ad avere importanti conseguenze sul
concetto di paternità nelle famiglie omogenitoriali. Con la pronuncia del 31 gennaio 2013, S. c. D. e E. e T. c. X. e Y.,
la Corte ha infatti riconosciuto a due uomini gay, che hanno donato il
loro sperma a due coppie lesbiche, il diritto di far parte della vita
dei loro figli biologici.
I fatti: S. e T., uniti sentimentalmente
da tanti anni, accolgono la richiesta di D. ed E., una coppia lesbica
che desidera avere un bambino ricorrendo allo sperma di un donatore. Le
due coppie sono legate da forte amicizia e sono vicine di casa. Viene
deciso che S. non sarà il padre formalmente ma, cosa per i due uomini
più importante, lo sarà agli occhi del bambino. S. desidera infatti
partecipare alla crescita del bambino come figura genitoriale di
riferimento. Tuttavia, nessun accordo scritto viene stipulato tra le
parti. Inizialmente i rapporti tra le due coppie restano ottimi e i
bambini (poco dopo nascerà anche una sorella tramite lo stesso padre
donatore) crescono, accuditi dalle due
mamme. Le dinamiche che si instaurano – le coppie si fanno visita
regolarmente, trascorrono alcune festività assieme, i bambini fanno
conoscenza con alcuni membri della famiglia del padre e anche del suo
compagno – sono positive, tanto che, dopo qualche anno, D. ed E.,
presentano a S. e T. una coppia di amiche (X. e Y.) che desidera avere
un figlio tramite procreazione assistita. Questa volta è T. a donare il
proprio sperma e a diventare padre di fatto.
Occorre precisare che nel Regno Unito, a
partire dal 2008, il donatore non può essere legalmente riconosciuto
come padre del bambino quando la coppia che ha utilizzato il seme
donato, sia essa eterosessuale o omosessuale, è unita in matrimonio o ha
contratto una civil partnership. Lo Human Fertilization and Embryology Act 2008,
al paragrafo 42, prevede infatti che, se al momento in cui avviene
l’inseminazione artificiale per mezzo di una clinica registrata la donna
è unita in una civil partnership, la sua compagna sarà
considerata a tutti gli effetti come genitore del bambino (a meno che
non sia provato che si opponeva all’inseminazione artificiale). In
Europa, solo la Spagna fa valere regole analoghe. La legge stabilisce
una presunzione di “genitorialità”, valevole anche per le coppie dello
stesso sesso, analoga alla presunzione di paternità che nel nostro
ordinamento opera unicamente per le coppie eterosessuali sposate.
Nel Regno Unito, dunque, i bambini nati
tramite procreazione assistita, all’interno delle coppie lesbiche
sposate o unite in una civil partnership (di qualsiasi
nazionalità), sono iscritti all’anagrafe come figli delle loro due mamme
(indicate sul certificato di nascita quali “genitore 1” e “genitore
2”).
Come evidenziato dal Giudice Baker nella pronuncia in commento, la
legge del 2008 riflette gli importanti cambiamenti sociali intervenuti
negli ultimi anni e tiene conto dell’esigenza di considerare il ruolo
del genitore sociale (“supportive parent”). S. e T. non potevano
dunque essere riconosciuti come padri dei bambini perché la legge non lo
avrebbe consentito, nemmeno se lo avessero chiesto le parti coinvolte,
le quali, peraltro, non avevano mai avuto questa intenzione. Davanti
alla High Court non è infatti in discussione lo status giuridico delle
mamme. La controversia concerne invece il ruolo affettivo che i donatori
desiderano svolgere nella vita dei bambini: nessun ruolo formalmente
riconosciuto, secondo le coppie di madri, semmai qualcosa di simile alla
figura dell’“amico di famiglia”; uno status equiparabile a quello di un
genitore, con precisi diritti di visita e di partecipazione
all’educazione del minore, secondo la richiesta dei due donatori.
Ed ecco come la High Court ha risolto il dissidio, partendo dalla premessa che la riforma attuata tramite lo Human Fertilization Act
2008, la quale pone le coppie lesbiche e i loro bambini esattamente
sullo stesso piano giuridico di altre categorie di genitori e bambini,
deve essere presa in considerazione nella soluzione della controversia. È
vero infatti che tale atto, nell’attribuire l’esclusiva potestà
genitoriale in capo alla coppia di madri, esclude qualsiasi diritto del
padre biologico. Il giudice però ritiene preferibile decidere in base a
una rigorosa valutazione dei fatti della causa, tra i quali assume
rilievo primario la circostanza che i ricorrenti sono stati autorizzati
dalle madri a stabilire un rapporto con i bambini. Non solo: entrambe le
coppie desideravano che il donatore fosse una persona conosciuta e da
loro stimata, non un donatore anonimo. I bambini avrebbero così potuto
conoscere le proprie origini, rafforzando e arricchendo la loro identità
di individui e garantendo loro la presenza di una figura maschile
positiva.
Secondo il giudice, da tale scelta, attuata liberamente dalle
madri, dipendono conseguenze necessarie quanto al potenziale rapporto
padre-figlio: il comportamento tenuto dalle parti prima e dopo le
gravidanze lascia intendere che i padri potevano vedere i loro figli e
avere un ruolo nelle loro vite dando così vita a quel legame “familiare”
che la Convenzione europea per i diritti umani tutela all’art. 8. A
sostegno, la High Court richiama espressamente la sentenza dalla Corte
di Strasburgo nel caso Anayo c. Germania, 21.12.2010, n. 20578/07,
con cui la Corte ha tutelato il rapporto tra un padre biologico,
donatore, e i suoi figli (gemelli), in virtù del legame affettivo
instauratosi tra i tre.
In conclusione, per la High Court la
potenziale rilevanza della paternità biologica non può essere eliminata
dall’esclusione dello status di genitore legittimo. Accanto ai genitori
“legittimi” può ben esistere un’altra figura di riferimento, che la
Corte definisce genitore “sociale” o “psicologico”. Secondo quanto
chiarito nel caso Re G [2006] UKHL 43, [2006] 2FLR 629,
il concetto di genitore “sociale” o “psicologico” attiene
all’importanza che una determinata persona assume di fatto nella vita di
un minore.
Ci si riferisce alla relazione che si sviluppa attraverso le
richieste del bambino e l’accoglimento da parte dell’adulto di tali
richieste e bisogni, inizialmente ad un livello basilare di nutrizione,
conforto e amore, e successivamente ad un livello più strutturato di
guida, socializzazione, educazione e protezione.
È importante evidenziare come sia la
stessa coppia lesbica, in quanto unica depositaria della responsabilità
genitoriale, ad avere il potere di incoraggiare o consentire al padre
biologico di trasformarsi in genitore “psicologico”. Numerose donne, che
si avvalgono della fecondazione eterologa non conoscono il donatore,
altre, pur conoscendone l’identità, lo escludono da subito dalla vita
dei propri figli, ed esercitano nel far ciò un diritto riconosciuto loro
dall’ordinamento. Nel caso in commento, invece, le due coppie di madri
hanno consentito costanti contatti tra i loro figli e i padri biologici e
hanno reso questi ultimi figure importanti nella vita dei bambini.
A tale titolo, i ricorrenti hanno diritto di richiedere, con diverso giudizio, un “contact order”
e cioè un provvedimento che consenta loro di far visita ai bambini su
base regolare. Il giudice Baker ricorda però che, nel decidere in merito
alle concrete modalità della frequentazione padri-figli, si dovrà
tenere conto della posizione di vulnerabilità in cui si vengono a
trovare le coppie di madri coinvolte, le quali, in questo modo, vedono
il loro nucleo familiare messo in discussione.
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