Δευτέρα 14 Σεπτεμβρίου 2015

per masturbarmi senza sensi di colpa

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Quando ero piccola io, il gender non c’era.
Sono nata nel 1991, non tanto tempo fa, ma abbastanza per non aver ricevuto alcuna forma di educazione sessuale a scuola.
Ricordo che in terza elementare, quando molti bambini, soprattutto i maschietti, cominciarono a mettere in difficoltà la maestra con le loro domande sulle tette e sul pisello e su come funzionava tutta quella storia, l’insegnante invitò in classe il padre di una mia compagna, un medico, per farci una lezione sull’apparato riproduttore.
Quel pover’uomo si mise alla lavagna e cominciò a parlarci di utero, ovaie, spermatozoi, del follicolo e tutte quelle cose, mentre i bambini implacabili continuavano a chiedere: “Sì, ma lo spermatozoo come ci arriva fino all’ovulo?”
Una domanda pertinente, a dire il vero: l’apparato riproduttore di cui ci parlarono in terza elementare non comprendeva pene, testicoli, vagina e vulva, ma soltanto la parte “post fecondazione”. Inutile dire che i miei compagni curiosi non ebbero risposta.

Ho iniziato a masturbarmi intorno agli otto, nove anni. Non ricordo assolutamente com’è stato, com’è successo per la prima volta. Non sapevo cosa stessi facendo, sapevo solo che era sbagliato e terribilmente eccitante. A quei tempi non avrei mai osato toccarmi la vagina con le dita, tantomeno infilarle dentro. Arrotolavo un fazzoletto di stoffa o un lembo del lenzuolo e mi ci strusciavo contro, un po’ come fanno gli animaletti, fino a che non riuscivo ad arrivare al piacere. Ma questo mi faceva sentire drammaticamente in colpa. Ero sicura di essere l’unica a provare quelle sensazioni, e che fossero sintomo di una qualche malattia o perversione. Di certo erano peccato: questo lo capivo anche senza che nessuno me lo spiegasse. Sopra il mio letto era appeso un crocifisso e io ogni volta, nel momento culminante dell’atto, sollevavo gli occhi e rimanevo impietrita di fronte a quel volto sconsolato che mi osservava dalla croce, supplicavo Gesù di perdonarmi e promettevo che non lo avrei fatto mai più.
Quando, sempre da un compagno di classe, sentii per la prima volta la parola “masturbazione” e andai sul vocabolario a cercarne il significato, mi ricordo che piansi di sollievo. Ma allora esisteva! Non era una mia invenzione, non era una malattia solo mia!
A questo punto qualcuno si sarà fatto un’idea sbagliata, perciò vorrei sottolineare che non sono cresciuta in una famiglia bigotta o particolarmente religiosa o oscurantista in generale. Andavo a messa la domenica insieme agli altri bambini e a catechismo, ma niente di più. Tutt’ora non so spiegarmi il mio profondo senso di colpa rispetto a quel che facevo (e che, nonostante i buoni propositi, continuavo a fare), se non che mi rendevo conto che era qualcosa da fare di nascosto e perciò doveva essere sbagliato.
La mia esperienza del sesso è rimasta limitata all’autoerotismo ancora per parecchi anni da allora. In primo superiore, a 14 anni, ricordo che durante la gita scolastica una nostra compagna di classe, la più precoce, ci raccontò che il suo ragazzo le aveva fatto un ditalino. Quando ci spiegò bene come funzionava, noi ragazze restammo inorridite. Sentii diverse giurare che mai, mai avrebbero permesso che venisse loro fatta una cosa del genere. Il sesso sì, dicevamo, quello in un certo senso riuscivamo a immaginarlo, ma farsi frugare con le mani là dentro proprio no. E lei, dall’alto della sua recente esperienza, rideva di noi e ci diceva: “Cambierete idea quando vi succederà…”

Tutto questo perché per noi la vagina era una cosa sporca. Inutile dire che non avevamo idea di come fosse fatta! Infatti, mentre i nostri coetanei maschi cominciavano a frequentare YouPorn, noi eravamo ancora legate esclusivamente all’idea di amore romantico e il massimo dell’eccitazione che potevamo immaginarci erano i baci con la lingua. Non ci passava per la testa di prendere uno specchio e guardare come eravamo fatte là sotto (una cosa che ho imparato solo anni dopo e di mia spontanea iniziativa).
Rimaneva la masturbazione, certo, ma non ne parlavamo fra noi e, anche se adesso sono abbastanza convinta che quasi tutte lo facessimo, nessuna lo avrebbe mai ammesso di fronte alle altre, nonostante la complicità e l’intimità che c’è di solito fra ragazze.
Ripeto ancora una volta che non sono cresciuta in un paesino sperduto. Nessuno mi ha mai esplicitamente inculcato l’idea che il sesso fosse una cosa brutta o sporca, anzi, ero notevolmente più informata e disinvolta rispetto a molte altre. Ho sempre amato leggere e dai cinque anni in poi ho letto tutto quel che ho trovato in casa. Molti stralci dei libri provocavano in me una certa eccitazione e rivivevo le scene che avevo letto più tardi, quando mi toccavo. Eppure, non sono così tanti i libri in cui si descriva il sesso in maniera del tutto esplicita, tale da chiarire le idee a qualcuno che non lo abbia mai fatto.
Il mio primo ragazzo l’ho avuto a 16 anni e con lui i tabù del sesso sono caduti uno dopo l’altro nel giro di sei mesi. Ma una cosa mi ha colpita particolarmente e, confrontandomi in seguito con altre amiche, ho scoperto che si tratta di un’impressione comune: il nostro primo incontro ravvicinato con un pene è stato piuttosto scioccante.
Infatti, dal momento che per noi femmine il mondo della pornografia era considerato off limits (non penso che a nessuna di noi a 15 anni fosse mai saltato in mente di vedere un porno), molte di noi non avevano davvero idea di cosa farci, con quel coso. Faceva anche un po’ ribrezzo e l’idea di prenderlo in bocca all’inizio mi ha disgustata.


Si tratta dello stesso schifo istintivo che provavo nei confronti della mia vagina, che toccavo a mani nude solo per lavarmi. Soltanto intorno ai 18 anni ho iniziato a masturbarmi “davvero”, senza usare le mutandine come filtro, un sacco di tempo dopo che lo avevano fatto i ragazzi con cui stavo.
La lista delle cose di cui per tutta l’adolescenza ho avuto una percezione distorta non finisce qui. Ci ho messo 21 anni, quasi 22, a capire di essere attratta dalle donne. Anche in questo caso, io non sono mai stata una lesbica “repressa”. Non è che mi rifiutassi di accorgermene perché non volevo rendermene conto, davvero. Io semplicemente non ci ho mai pensato. Ho capito di essere lesbica la prima volta che un’amica mi ha detto, per scherzo: “Dovresti provarci con una donna”. Ho realizzato in quel momento che sì, lo avrei fatto volentieri, e che questo mi rendeva lesbica. Se qualcuno mi avesse fatto la stessa battuta tre, cinque o sette anni prima, io me ne sarei accorta prima.
Ma non mi è stato insegnato a mettere in dubbio la mia eterosessualità, e quindi, nonostante tutta una serie di segnali, non mi è mai venuto in mente di farlo, nonostante non nutrissi alcun tipo di pregiudizio verso l’omosessualità.
La ragione per cui ho raccontato tutto questo è che non ne posso proprio più di sentire gente che parla a sproposito dell’educazione sessuale a scuola e che dice cose come: “A questo devono pensare i genitori” e “Io educazione sessuale non l’ho fatta e non sono mai stata traumatizzat*.”
Punto uno, i genitori non possono pensarci, perché non hanno necessariamente le competenze adeguate, e anche perché a dieci anni, quando ero terrorizzata perché mi masturbavo e non sapevo se fosse una malattia, le ultime persone al mondo con cui mi sarei confidata erano i miei genitori. Ci è voluto il vocabolario a rassicurarmi.

Punto due, forse certi traumi uno se li è semplicemente scordati. Io non sono una stupida e, lo ribadisco, non sono cresciuta in un ambiente repressivo o ossessionato dal sesso. Ero blandamente religiosa come la maggior parte dei bambini, che fanno la comunione perché la fanno anche gli amichetti, e vivevo in una famiglia piuttosto aperta, in cui non mi venivano mai coperti gli occhi o le orecchie di fronte a una scena d’amore in un film o a una parolaccia. Ho raccontato questa storia perché, parlandone ora che sono più grande con le mie amiche, mi sono resa conto che è più o meno la storia di tutte noi. Non sono una persona traumatizzata dal sesso, anzi: ho sempre provato piacere, sia con gli uomini sia con le donne, e una volta capito di cosa si trattava i sensi di colpa sono scomparsi e così anche la sensazione di “sporco”. La mia ignoranza era determinata semplicemente dal fatto che il mondo attorno a me a 14 anni credeva non fossi pronta per sentir parlare di sesso, quando invece il mio corpo lo era già da un bel po’.

Io adesso ho 24 anni e quando ero piccola Internet non ce l’avevo. Non so se, avendo a disposizione Google, la mia scoperta della sessualità sarebbe stata più semplice oppure ancora più confusa e sofferta di quanto sia stata per la mia generazione.
Quello che so è che questa campagna di terrorismo psicologico a colpi di disinformazione (nella maggior parte dei casi, a mio avviso, in malafede) contro la proposta di introdurre anche in Italia, come nel resto d’Europa, l’educazione sessuale a scuola, ha come prime e uniche vittime i bambini che pretende di proteggere.
Quello che so è che se la mia famiglia fosse stata più problematica, o se avessi avuto qualche brutta esperienza, come capita a tant* ragazzin*, le mie perplessità sul sesso sarebbero state molto più gravi e avrebbero probabilmente condizionato la mia futura felicità sessuale, sentimentale e emotiva in genere.
E a quei genitori che si preoccupano tanto che qualcuno ai loro preziosi figli possa spiegare cosa sono la masturbazione e la contraccezione prima dei vent’anni, chiedo: sarete voi a farlo? E quando?
A quei genitori vorrei dire: avete mai pensato che forse un ragazzino o una ragazzina che sa che cos’è il sesso diventa meno facilmente vittima della violenza da parte degli adulti? Forse un bambino a cui è stato insegnato che cos’è il sesso potrebbe accorgersi di segnali preoccupanti e chiedere aiuto prima che sia troppo tardi, invece di lasciarsi travolgente dal misto di senso di colpa e terrore che così spesso paralizza chi subisce abusi. O anche, per farla meno traumatica, una ragazza o un ragazzo con le idee chiare sul sesso saranno più capaci di stabilire chiaramente cosa vogliono e cosa no dal loro partner, di mettere paletti quando qualcosa li fa sentire a disagio, di non sentirsi “sbagliat*” se una cosa proprio non voglio farla o lasciarsela fare o al contrario di non privarsi di possibilità di piacere, condivisione e divertimento soltanto perché hanno l’impressione che si tratti di un tabù.

A quei genitori vorrei chiedere quando hanno iniziato, loro, a masturbarsi, a vedere porno, a provare desiderio. E vorrei chiedere loro se hanno avuto una vita sessuale felice, una vita sentimentale felice, e a quanti di loro è capitato di trovarsi con una gravidanza indesiderata da gestire, o addirittura più di una, per non aver capito in tempo come funziona il corpo di una donna.
A quei genitori vorrei dire: il sesso non è mai contro natura, proprio perché è la nostra natura. La repressione, quella sì è contronatura, e l’ignoranza, in questo campo come in molti altri, può generare danni irreparabili. Nessuno dovrebbe sentirsi in colpa per le sensazioni che prova nei riguardi del proprio corpo o di un altro corpo e nessuno dovrebbe provare schifo di fronte a una parte del corpo, quale che sia, propria o altrui.
Il vostro perbenismo tenetelo per voi, io preferisco il gender, se è così che vi piace chiamarlo.

Federica

             http://vidto.me/2h8x1jmsec6f.html


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