giu 12, 13
“Mio papà è gay e non sa piegare i calzini!”.
“Mia mamma è lesbica e rompe le scatole come tutte le mamme!”.
Queste le frasi, affiancate dallo slogan “Il valore delle famiglie friulane”, apparse su manifesti che hanno tappezzato di recente la città di Udine.
La campagna è stata promossa da Arcigay Friuli ed è una novità assoluta
poiché fino ad oggi in Italia i figli maggiorenni di genitori
omosessuali non avevano mai prestato i loro volti per una campagna di
sensibilizzazione.
Tra i testimonial della campagna
Stefano Miorini e sua figlia Nadia che hanno deciso di impegnarsi
attivamente per sconfiggere i pregiudizi su omosessualità e
omogenitorialità.
Nel
2010 i manifesti con baci gay contro l’omofobia pensati sempre da
Arcigay e Arcilesbica friulani, avevano varcato i confini regionali
facendo parlare di sé tutta l’Italia. L’anno successivo le due coppie
erano diventate addirittura l’immagine simbolo della campagna nazionale
di Arcigay. Ma da quel bacio, simbolo di amore e di diritti, nascono
nuove famiglie.
Le famiglie di cui Stefano e Nadia ci parlano in quest’intervista.
Avete partecipato ad un progetto bellissimo. Come avete deciso di “metterci la faccia”, letteralmente?
Stefano: La campagna è stata ideata più
di due anni fa, da Giacomo Deperu, presidente Arcigay Friuli, nonché mio
compagno di una vita. Nadia ed io abbiamo quindi avuto modo di
abituarci all’idea e di immaginarla, decidendo, un po’ con coraggio un
po’ con timore, di buttarci in questa “avventura”. Per Nadia era un
voler mostrare la propria normalità, portare un contributo
all’affermazione dei diritti delle famiglie arcobaleno e aiutare a far
emergere quei genitori omosessuali, che vivono nascosti nelle famiglie.
Io volevo fortemente far capire che noi omosessuali siamo perfettamente
in grado di essere genitori. Non si prescinde dall’omogenitorialità
nella totale sconfitta del pregiudizio omofobo. Per fare questo, Nadia
ed io non abbiamo messo solo la faccia ma tutta la nostra vita.
La campagna è stata oggetto, com’era prevedibile di numerose polemiche…
Nadia: È una campagna
molto innovativa, forse la prima in Europa con figli adulti che si
espongono per sostenere i propri genitori, e va a colpire dritto nel
segno: l’omogenitorialità. Qui l’Italia si spezza in due e poco meno
della metà degli italiani ha idee contrarie. Io rispondo sempre che i
genitori omosessuali e i loro figli non sono idee ma persone in carne ed
ossa, intrise di sentimenti e di vita. Manca loro solo una cosa, i
diritti/doveri, che a casa mia, prendono il nome di matrimonio
egualitario. Le leggi contribuiscono alla crescita culturale, in questo
caso arricchendoci.
Stefano: Questo è un
percorso storico che approderà nella totale uguaglianza, ma noi italiani
vogliamo arrivare ultimi? Le polemiche sollevate da frange estremiste,
in difesa della “famiglia tradizionale”, termine inventato ad hoc, ormai
mi fanno sorridere. Le critiche che più m’infastidiscono sono quelle di
molti omosessuali che, intrisi di omofobia interiorizzata, non si
sentono all’altezza di rivendicare i propri diritti o, peggio ancora,
discriminano essi stessi altri omosessuali “rei” di esserlo in modo
troppo esplicito per i loro canoni. Per questo l’omofobia va combattuta
su più fronti a partire dalle scuole, ben prima delle superiori, dove
ragazze e ragazzi adolescenti omosessuali, esasperati e SOLI, arrivano a
gesti estremi.
Stefano, raccontami un po’: com’è stato parlare a Nadia della tua omosessualità?
Stefano: Nel momento in cui ho parlato
della mia omosessualità a Nadia, lei aveva nove anni, sapeva che non
c’era differenza fra amore omo ed etero, inoltre dentro di lei, aveva
percepito che Giacomo ed io eravamo una coppia… Parte della sua
famiglia. Quindi nulla di più facile, se ti prepari la strada per una
vita intera! Nadia nemmeno ricorda questo momento, lei ha vissuto la mia
omosessualità serenamente, come sua quotidianità. A lei, Stefano suo papà e Giacomo, davano amore e stabilità, solo questo importava.
Ti sei mai sentita discriminata per questo? Come hai affrontato la questione a scuola?
Nadia: Nel momento in cui mi sono
scontrata con l’intolleranza della società e il bullismo a scuola, mi
sono sentita indirettamente discriminata. Nel periodo delle scuole medie
ero un po’ turbata, vedevo che un mio compagno subiva omofobia, volevo
aiutarlo, con alcuni gesti l’ho fatto, ma poi mi sono chiusa in me
stessa. La mia vita comunque procedeva negli avvenimenti,
incondizionatamente. Al tempo poi delle superiori ho ritrovato la voglia
di confrontarmi, con ciò che per molti dei miei coetanei, è ancora oggi
innaturale: l’omosessualità e l’omogenitorialità.
Vivi con mamma o papà?
Nadia: Non ho una fissa dimora, mi
divido fra appartamento di Trieste, dove studio, mamma, papà e di tanto
in tanto vado dal fidanzato. Ho le valigie sempre pronte, insomma.
Stefano, la mamma di Nadia come ha reagito quando le hai detto di essere omosessuale?
Stefano: Io e sua madre ci siamo
conosciuti alla scuola infermieri, diciassette anni lei, diciannove io,
divenne per me una delle migliori amiche. Le dissi, quasi subito, che a
me piacevano anche gli uomini… era fiera della mia confidenza. All’epoca
vivevo un percorso di accettazione che spesso passa per la
bisessualità.
Pensi mai di avere altri figli con il tuo compagno?
Stefano: Se avessi dieci anni in meno lo
vorrei ma poiché potrei diventare nonno tra non molto, preferisco
risparmiare le energie.
Nadia cosa significa avere un papà gay?
Nadia: Avere un papà gay è avere un
papà. Non è l’orientamento sessuale a determinare le qualità di un
genitore. È certo che mi ha trasmesso una visione aperta della vita,
accettando le diversità e vivendole come arricchimento. In famiglia sono
abituata a confrontarmi su tutto e ad essere me stessa. Ho acquisito
una certa sensibilità rispetto ai temi lgbt e se posso voglio essere di
supporto e d’esempio.
Che cosa direste a chi afferma che è nocivo per un bambino crescere in una famiglia omogenitoriale?
Stefano: Dico che le loro affermazioni
si basano solo su preconcetti ormai antichi. Loro non conoscono i
bambini in questione, non hanno né sensibilità né cultura rispetto al
tema. Ci sono ricerche trentennali, ci sono dichiarazioni di
associazioni internazionali di psicologia e pedagogia
sull’omogenitorialità. Consiglio loro di informarsi e di passare un
pomeriggio in compagnia di queste famiglie oppure di fare una bella
chiacchierata con la mia Nadia.
.
Di Sarah Kay
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