A cura di Cristiano Scandurra
Lo scorso 2 Febbraio, come ogni anno da secoli, grandi masse di fedeli si muovono in gruppo per andare a venerare la Madonna Nera a Montevergine, nei pressi di Avellino. Questo pellegrinaggio è molto particolare poiché vede come protagonisti i cosiddetti femminielli. La leggenda narra che, nel 1252, due omosessuali furono colti in atteggiamenti intimi. Per questo motivo vennero cacciati dal loro paese e mandati fuori dalle mura a morire di fame e di freddo. Per soccorrerli, la Madonna Nera squarciò il cielo facendo uscire il sole e salvandoli. Da allora questo luogo è deputato alla venerazione della Madonna Nera, detta anche Mamma Schiavona. Come narra Virgilio secoli fa, dove ora sorge l’abbazia di Montevergine esisteva il tempio di Cibele, antica divinità anatolica che era venerata come Grande Madre. La leggenda di Cibele narra che essa amava il giovane pastore Attis che, per amore, venne fatto sacerdote del suo tempio. Il pastore tradì Cibele con una ninfa e provò una tale paura di fronte all’ira della dea che si evirò con le sue stesse mani e morì. Da allora Cibele, per commemorarlo, creò il suo culto che si incentra sulla cerimonia del pino reciso in quanto simbolo della castrazione. Cibele, infatti, innamorata follemente di Attis, non lo perdeva mai di vista, controllandolo ossessivamente. Attis era convinto che le fronde di un pino potessero nascondere il suo tradimento con una donna mortale, ma non fu così. Egli fu scoperto e, invaso dal rimorso, si castrò morendo. Il pino, dunque, rappresenta l’atto di castrarsi e l’amore perduto. Alla cerimonia in onore di Attis potevano partecipare solo gli eunichi e sacerdoti evirati, truccati e con lunghe chiome di capelli.
Montevergine, dunque, appare da sempre legata alla “differenza”, acquisendo un portato storico, sociologico e simbolico di inestimabile valore. In questo luogo, reale e simbolico, si manifestano fenomeni sociali che ci costringono a fare i conti con l’esistenza di un genere altro, di qualcosa che non rientra forzatamente nel maschile o nel femminile. Chi sono i femminielli? Che ruolo hanno nel contesto socio-culturale napoletano? Come sono percepiti dalla gente?
I femminielli non sono né omosessuali né eterosessuali, né maschi né femmine. Non sono neanche transgender o travestiti. Sono semplicemente un genere altro, un “terzo genere”, una tra le tante realtà possibili del nostro mondo post-moderno. Ma essi sono molto più antichi del post-modernismo e pongono in essere una sfida: i femminielli potrebbero ben rappresentare quelle identità fluide, liquide, prive di confini del nostro mondo ma, contemporaneamente, incarnano l’arcaico, qualcosa che oggi ha difficoltà ad esistere, poiché non fanno parte di grandi metropoli del mondo o di spazi urbani iper-moderni. Essi sono precipui della realtà napoletana e, nello specifico, essi abitano il vicolo. È nei vicoli che vivono e che sono accettati socialmente. I femminielli, uomini che vivono e sentono come donne, svolgono nel vicolo mansioni ed occupazioni tradizionalmente affidate al femminile. Sono chiamati ai battesimi e ai matrimoni poiché incarnano simboli propiziatori. Sono i protagonisti del gioco della tombola napoletana perché portano fortuna e, perché, tramite una particolare ironia possono raccontare delle verità scomode. Nel vicolo napoletano non c’è spazio per associare la patologia ai femminielli: essi non sono “malati”, sono semplicemente una realtà possibile e, in quanto tale, partecipano all’economia della comunità.
Il femminiello, dunque, scardina ciò che viene definito binarismo di genere, ovvero la convinzione profonda e radicata in ognuno di noi che esistano solo due generi: il maschio e la femmina. E spazzano via anche le polveri della discriminazione e dello stigma che attualmente e con veemenza sono rivolti alle persone LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transessuali). In Corpi sull’uscio. Identità possibili. Il fenomeno dei femminielli a Napoli di Eugenio Zito e Paolo Valerio, edito da Filema, si parla di possibile estinzione dei femminielli. Ad essa si accosta un interrogativo degli autori: se non si tratta di estinzione, è possibile pensare ad un cambiamento di nome e di forma? In fondo, Napoli sta cambiando, il suo tessuto urbano è in continua metamorfosi e, a causa della globalizzazione, vince la tensione all’omogeneizzazione socio-culturale. Il vicolo ha cambiato forma perché i bisogni sociali sono cambiati. Ma ciò non toglie una verità: la possibilità dell’esistenza di una diversità naturalizzata e contestualmente situata.
Se il femminiello è potuto esistere fino ad oggi è perché ha incontrato un “via libera” proveniente dal sociale, è perché ha potuto svolgere delle funzioni utili all’economia territoriale e tutto ciò senza ricadere in agiti razzisti e sessisti. La domanda sorge allora da sé: se ciò è stato possibile, perché appare più complicato con le persone transgender o omosessuali o intersessuali, ecc.? Probabilmente, ad un livello più globale, mancano proprio quel legame sociale e quel senso di comunità da sempre caratteristici della città di Napoli. Il rischio, allora, potrebbe essere rappresentato dall’espansione di questa città e dalla sua omologazione alla globalizzazione. Se a queste ultime dovessero accompagnarsi spinte discriminatorie, la globalizzazione potrebbe rappresentare una regressione culturale. La speranza sta nella conservazione della memoria e dello stato mentale di apertura che ad essa si associa. Storia e mito convivono e non possono essere dimenticati. Essi entrano nella memoria collettiva e, anche se non pensabili coscientemente, agiscono con le loro forze inconsapevoli e sono tramandati di generazione in generazione.
Bullismoomofobico.it
La Candelora e la Juta
Every year, on the 2nd of February, a very old ritual occurs in Montevergine, in the municipality of Avellino. This ritual takes place in occasion of the Candelora; it consists in a processional ascent to the sanctuary (XII century) sited on a massif 1270 meters tall that is currently called “Partenio” (a Greek name to indicate young not-married women), which in the past got different names: “Monte di Cibele” (Cybil’s Mountain), “Monte Virgiliano o di Virgilio” (Virgil’s Mountain) and that, since the XII century, is called “Monte Vergine”. The sanctuary is situated exactly in the same place where, in the Roman Age, there was a temple consecrated to Cybil, a female god from Minor Asia, who was considered as the “Mother”. Her priests celebrated the cult in a woman dress. A legend tells that Virgil went to the temple in order to consult the oracle of Cybil: he was driven back by the god and so he decided to go back to the mountain every year. Later, he planted a vegetable garden of medicinal and magical herbs in order to cure the people. After many recoveries, the mountain was consecrated to him. The festival in honour of the Madonna di Montevergine, known as “Mamma Schiavona” because of her dark skin colour, is called “Candelora”. This is a Latin word for candle and is related to the candles’ blessing. The ascent to the mountain recalls for some pagan rituals but not only; it reminds of the ascent to the mountain that theVirgin Mary had to do in order to reach the temple forty days later Jesus Christ’s birth. On the 2nd of February there is the procession with the ascent to the mountain that has the “Femminielli” (Neapolitan nickname for homosexuals) as a main character. These people comes from Naples but not only; they meet at the churchyard to sing for thanking the Madonna. A legend tells that, during the 1200, two young homosexuals were driven out of the town for obscene acts and tied to a tree on the Partenio Mountain. They would have died but the Madonna appeared and saved them. On the festival’s eve, the streets are adorned, and all around the sanctuary there are stalls with all the traditional, local products: torrone, chestnuts, nuts, figs and local handicraft. The Candelora opens the cycle dedicated to the Marian cult of the “Sette Madonne” (seven Madonna): seven festivals take place in the space of time that goes from the 2nd of February until the 12th of September. To close the cycle there is an other ritual in honour of the Madonna di Montevergine who is the only one celebrated twice, in the beginning and in the end of the cycle. On the 12th of September, there is an other procession for her, the so-called “juta”, which in the Neapolitan dialect means “the going”. The seven rituals occur from the coming of spring until the end of summer; this is clearly related to their ritual meaning.
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