http://youtu.be/SBW8TVB5ZWQ
Perché qui non si parla semplicemente di donazioni di gameti, che incide soltanto minimamente nella vita di chi offre dietro compenso i propri ovuli o il proprio seme. Qui c’è la vita che cresce, c’è un parto, ormai sempre più coppie scelgono addirittura di restare in India qualche settimana in più per far allattare i loro figli alle madri surrogate….Si sa, il latte materno è un formidabile antibiotico naturale. Così accade che il legame si faccia ancora più stretto, fino a che però la coppia pagante non decide che è tempo di tornare a casa. In America, Italia, Spagna, Francia, Israele…
C’è qualcosa di terribile in questa macchina della maternità. Il 25 novembre è la giornata mondiale contro la violenza sulle donne: anche questo è sopruso, proviamo a ricordarlo.
Le Famiglie Arcobaleno esistono: di Maria Novella De Luca
Forse la “surrogacy” all’inizio non era così. Ossia una vera e propria industria che sfrutta i corpi delle donne dei paesi poveri, a favore delle coppie dei paesi ricchi. No, all’inizio, almeno a giudicare dalle prime testimonianze di “mamme portatrici”, donne che prestavano il loro utero per dare un figlio a coppie di uomini omosessuali, o ad altre donne che non potevano avere una gestazione, c’era un elemento “oblativo” in tutto questo. C’era un contratto sì, moltissimi soldi anche, ma in queste madri surrogate c’era anche la voglia di aiutare altri a realizzare quella maternità altrimenti impossibile.
Forse era così, probabilmente.
Oggi invece lo scenario è abissalmente diverso, e apre inquietanti interrogativi. Basti pensare che è di questi giorni la notizia che le donne indiane, che ormai a migliaia affittano il proprio utero alle coppie occidentali, hanno chiesto una specie di salario minimo garantito. A riprova del fatto che l’industria delle madri surrogate è diventata in India, come in alcuni paesi dell’Est, una sorta di vero e proprio lavoro per le donne più povere, spesso con marito e figli a carico, che non avendo altra fonte di guadagno, affittano se stesse. Nel loro utero viene impiantato un embrione altrove creato, e alla fine dei nove mesi queste gestanti a tempo dovranno dare il bambino che hanno cresciuto in grembo ai “genitori” dell’embrione.
Le donne indiane vengono contattate nei villaggi più poveri dagli emissari delle cliniche della fertilità, e poi trasferite in vere e proprie case di gestanti, dove per nove mesi, con il divieto tassativo di avere contatti con la famiglia, vivono la gravidanza.
Un isolamento che le coppie occidentali, etero, gay, ma anche single, pretendono perché le madri surrogate non vengano “inquinate” in alcun modo da situazioni che potrebbero minacciare il loro bambino (vedi cibo, acqua infetta, malattie) esattamente il mondo da cui queste donne provengono, e dove, consegnato il bambino, torneranno. Alla loro povertà cioè. Quella che permette di comprare a buon prezzo un utero (alle madri indiane vanno circa 7-8mila euro, altri 15-16mila alle cliniche) e riportarsi a casa un figlio.
Già. E i nove mesi di gestazione dove vanno a finire? Quella relazione incredibile che si crea nei mesi della gravidanza, tra vita e vita? Interrotta. La madre indiana viene pagata e scompare. Non importa se magari nei nove mesi si è affezionata a quell’essere che ha nutrito, e fatto crescere dentro di sé. E’ vero: quei sette ottomila euro sono una piccola fortuna per una donna di un villaggio povero, permettono di pagare debiti, di far studiare i maschi della famiglia. E infatti oggi accade che più donne di una stessa famiglia affittino il loro utero contemporaneamente.
Ma è giusto tutto questo? O non è una forma falsamente liberal di violenza sul corpo delle donne? E dove le donne stesse, pagando per affittare un altro utero, fanno violenza ad altre donne, povere e non istruite? (Se infatti poi qualcosa accade durante la gravidanza, se la “portatrice” si ammala, se capita un aborto spontaneo, beh, alla portatrice non spettano più nemmeno i soldi).
Oggi invece lo scenario è abissalmente diverso, e apre inquietanti interrogativi. Basti pensare che è di questi giorni la notizia che le donne indiane, che ormai a migliaia affittano il proprio utero alle coppie occidentali, hanno chiesto una specie di salario minimo garantito. A riprova del fatto che l’industria delle madri surrogate è diventata in India, come in alcuni paesi dell’Est, una sorta di vero e proprio lavoro per le donne più povere, spesso con marito e figli a carico, che non avendo altra fonte di guadagno, affittano se stesse. Nel loro utero viene impiantato un embrione altrove creato, e alla fine dei nove mesi queste gestanti a tempo dovranno dare il bambino che hanno cresciuto in grembo ai “genitori” dell’embrione.
Le donne indiane vengono contattate nei villaggi più poveri dagli emissari delle cliniche della fertilità, e poi trasferite in vere e proprie case di gestanti, dove per nove mesi, con il divieto tassativo di avere contatti con la famiglia, vivono la gravidanza.
Un isolamento che le coppie occidentali, etero, gay, ma anche single, pretendono perché le madri surrogate non vengano “inquinate” in alcun modo da situazioni che potrebbero minacciare il loro bambino (vedi cibo, acqua infetta, malattie) esattamente il mondo da cui queste donne provengono, e dove, consegnato il bambino, torneranno. Alla loro povertà cioè. Quella che permette di comprare a buon prezzo un utero (alle madri indiane vanno circa 7-8mila euro, altri 15-16mila alle cliniche) e riportarsi a casa un figlio.
Già. E i nove mesi di gestazione dove vanno a finire? Quella relazione incredibile che si crea nei mesi della gravidanza, tra vita e vita? Interrotta. La madre indiana viene pagata e scompare. Non importa se magari nei nove mesi si è affezionata a quell’essere che ha nutrito, e fatto crescere dentro di sé. E’ vero: quei sette ottomila euro sono una piccola fortuna per una donna di un villaggio povero, permettono di pagare debiti, di far studiare i maschi della famiglia. E infatti oggi accade che più donne di una stessa famiglia affittino il loro utero contemporaneamente.
Ma è giusto tutto questo? O non è una forma falsamente liberal di violenza sul corpo delle donne? E dove le donne stesse, pagando per affittare un altro utero, fanno violenza ad altre donne, povere e non istruite? (Se infatti poi qualcosa accade durante la gravidanza, se la “portatrice” si ammala, se capita un aborto spontaneo, beh, alla portatrice non spettano più nemmeno i soldi).
Perché qui non si parla semplicemente di donazioni di gameti, che incide soltanto minimamente nella vita di chi offre dietro compenso i propri ovuli o il proprio seme. Qui c’è la vita che cresce, c’è un parto, ormai sempre più coppie scelgono addirittura di restare in India qualche settimana in più per far allattare i loro figli alle madri surrogate….Si sa, il latte materno è un formidabile antibiotico naturale. Così accade che il legame si faccia ancora più stretto, fino a che però la coppia pagante non decide che è tempo di tornare a casa. In America, Italia, Spagna, Francia, Israele…
C’è qualcosa di terribile in questa macchina della maternità. Il 25 novembre è la giornata mondiale contro la violenza sulle donne: anche questo è sopruso, proviamo a ricordarlo.
37 COMMENTI
Pensi ad esempio all’adozione, dove la genitorialità non nasce dalla pura filiazione, ma dall’accoglienza e l’amore.
Lei mi risponderà che è una cosa diversa, che il rapporto con la madre adottiva nasce da una necessità, non da una scelta.
Ma questo punto non cambia la sostanza delle cose: una madre adottiva è madre a tutti gli effetti. La sua non è un’esperienza dimezzata. E nella vita del bambino la separazione fra chi lo accolto durante la vita intrauterina e chi lo ha fatto dopo non si dimostra un’esperienza agghiacciante.
Conosco altri bambini nati con questa tecnica, e li ho visti felici, sereni, coscienti della propria origine ma non per questo feriti. Auguro ovviamente lo stesso ai miei.
Questo significa “banalizzare” la maternità? Al contrario. Significa dargli un valore superiore, non ridurlo ad un puro fatto biologico.
I miei figli conosceranno chi li ha portati in grembo, potranno abbracciarla, ringraziarla. Ma sapranno anche che quella persona non è la loro madre, ma una persona importantissima e dolce che ha contribuito a dargli l’enorme dono della vita.
Lo dico con sincerità Giuseppe… Non ci vedo nessuna violenza, nessuna superficialità…
Ma non tenterò di convincerla oltre. La ringrazio comunque per la pacatezza con cui ha voluto affrontare questo tema.
E’ vero che esiste una transazione economica e penso anche che in molti casi sia una condizione abilitante. Del resto, ad esempio, Kelly non avrebbe potuto dedicarsi completamente un anno a questo progetto se non avesse avuto un minimo di rimborso spese.
Ma il punto è che per una persona come Kelly questo tipo di esperienza non rappresenta l’unico tipo di introito economico possibile: terminata la gravidanza ha impiegato circa due mesi per trovare il lavoro per il quale ha studiato dove guadagna più del doppio del mio assegno mensile. Non si tratta di una opzione disperata, dell’unica soluzione per tirare a campare.
Rappresenta una scelta, che – le assicuro – nel suo caso è carica di altruismo e di senso del dono.
Non si da un prezzo ad una maternità, ne’ tantomeno ad un utero. Si compensa invece la disponibilità, le cure, gli abiti da gravidanza, la baby sitter di cui ha avuto bisogno quando è stata in clinica per esami o per fare l’impianto.
Francamente non penso di aver “affittato un utero”. Mi sembra un po’ un’immagine da macelleria. Io ho avuto come dono da Kelly tutta se stessa, tutti i suoi pensieri, il suo cuore. E questo, le assicuro, è un vero dono, che non è certo “sporcato” dai pochi soldi che le ho passato.
Bisognerebbe ascoltare le testimonianze di chi ha vissuto l’esperienza della gestazione per altri senza preconcetti e senza proiezioni personali. E accettare che, oltre a pensarla diversamente, le persone possono vivere diversamente anche le esperienze della vita.
Per questo in quei paesi dove non è possibile a nessun livello l’autodeterminazione della donna sono a rischio di sfruttamento tutte le gravidanze, quindi anche quelle per altri.
Nelle situazioni in cui invece questo sfruttamento non c’è, la gravidanza di una donna (anche quella per altri) può essere un’esperienza bellissima di autodeterminazione. La Gestazione Per Altri, quella etica, secondo me ha qualcosa in comune con l’affido familiare: ti prendi cura per un periodo di un bimbo di cui non sarai mai genitore (e lo sai fin dall’inizio). Quando non ha più bisogno di te lo riaffidi ai suoi genitori. Il fatto che lo stato, nell’affido familiare, dia un sostegno economico alla famiglia affidataria non è il motivo per cui lo fai.
A Maria Novella che è una giornalista attenta e giustamente sensibile alla condizione della donna vorrei fare questa riflessione: sul tema dell’aborto in America gli schieramenti sono divisi sotto il nome di “pro choice” per quelli che pensano che la donna sia in grado di decidere del proprio corpo e abbia il diritto di scegliere se portare avanti la gravidanza oppure no e “pro life” per quelli che pensano che la vita potenziale che portano in grembo debba prevalere sulla volontà della donna in quanto è già una vita sacra e eguaglia l’aborto all’omicidio. L’aborto pur essendo “pro choice” non è certo una scelta che fa felice nessuno. Nel caso della gpa a ben vedere si può essere sia “pro choice” in nome della libera scelta della donna che “pro life” perché si sta portando al mondo un essere umano e si tratta di una scelta, che se fatta in modo corretto e rispettoso, rende felici e orgogliosi tutti quelli che vi partecipano
Non sono invece d’accordo quando lei parla di questo orrore come “della surrogacy”, perchè, ringraziando il cielo (o chi altro vogliamo), la surrogacy ancora oggi può avere il volto umano e potente del dono e dell’autodeterminazione della donna. Ci sono paesi dove le donne che si offrono come madri surrogate o portatrici lo fanno in piena libertà e coscienza, non oberate dal peso dell’indigenza o dalle pressioni familiari.
Mi unisco a lei nel grido sconvolto contro violenza e sfruttamento ANCHE dovuto alla pratica della surrogacy
Ma le chiedo anche di ricordare a tutti che non è la surrogacy di per se a fruttare e violare le donne, ma l’uso che ne viene fatto E che ad oggi una sorragcy rispettosa di tutte le parti coinvolte è possibile. E’ un grande atto d’altruismo che genera nuova vita con rispetto e amore.
Questi due ragazzi sono delle persone stupende ed hanno trovato una persona altrettanto stupenda che non solo è stata felice di aiutarli una volta ma lo ha fatto una seconda e continua a mantenere rapportincon loro.
A., amico di amici a San Francisco ha appena avuto una splendida bambina partorita per lui da una donna con tre figli ed un marito che erano così distrutti dalla situazione da farsi fotografare tutti insieme ad A. felici e sorridenti. L’utero in affitto in questione ha detto ad A. che, nel caso lui volesse dare un fratellino o una sorellina a sua figlia lei sarebbe stata felice di aiutarlo ancora.
Io credo che lei abbia la presunzione di sapere quello che le altre donne provano, tutte le altre donne. Ed anche la pretesa di regolare la loro vita.
Come figlio di una femminista convinta, molto convinta, credo che le donne abbiano il pieno diritto di disporre del proprio corpo senza che qualcun’altro, non importa se dello stesso sesso, pretenda di proteggerle da loro stesse. Questo modo di pensare è ottocentesco.
Vietare o ostacolare la GPA nei paesi dove le donne hanno gli strumenti per scegliere in modo consapevole, vuol dire scatenare lo sfruttamento nella parte di mondo dove le donne non sono libere.
Io vorrei essere figlia di tante coppie di papà omossessuali che ho conosciuto grazie all’associazione Famiglie Arcobaleno, genitori dolcissimi e accudenti, con un amore smisurato verso i/le propr* figl*, con un gran rispetto e amore per le donne che gli hanno aiutati a realizzare il loro sogno di genitorialità. “Belle famiglie”, solide, capaci di crescere i loro figli e le loro figlie con amore, dedizione e impegno. Papà presenti e attenti che rappresentano un modello per tutti i papà (anche e soprattutto per molti di quei papà eterosessuali che ancona non sanno cosa vuol dire crescere i proprio figli), papà capaci di costruire legami d’amore preziosi con le donne che gli hanno permesso di essere generativi, donne consapevoli della scelta e del dono fatto. Famiglie come queste e donne come queste fanno pensare che possa esistere un mondo migliore, un mondo in cui vale la pena mettere al mondo e crescere i nostr* bambin*,
Silvia, una donna, una figlia, una mamma
Parla di rispetto della donna, ma non sembra avere rispetto per i sentimenti e l’opinione della donna che ha fatto un percorso che lei non ha fatto. Sembra che lei non le renda la dignità di essere una donna capace di intendere e di volere, senza pressioni e senza necessità e senza una spinta puramente lucrativa ( le posso dire per conoscenza diretta che deve tagliare della metà le cifre che lei indica per una portatrice nella sua risposta).
Per le sue preoccupazioni per il benessere della donna dovrebbe ascoltare la donna che le ho segnalato che nel suo articolo usa non a caso il termine di “restituire” il figlio alla coppia perché non sta dando via suo figlio, ma sta restituendo un figlio all’amore di due persone che hanno voluto quel bambino.
La stessa donna, le posso assicurare, non darebbe mai e poi mai i figli che ha concepito con suo marito, perché quelli sono i suoi figli, frutto dell’amore che la lega al suo uomo. Sono due piani ben diversi che la donna che fa un figlio per altri ha ben presente: non si tratta di una persona pazza o sconsiderata, ma di una donna capace di un gesto per me generoso (anche dietro un compenso che non cambierà la sua vita) ma probabilmente inconcepibile per lei.
scusa ma siamo tutti titolati a esprimere opinioni argomentate su un tema del genere, non foss’altro per il fatto che tutti siamo figli e molti di noi anche genitori; opinioni che legittimamente possono essere anche di forte riprovazione nei confronti di simili altrui scelte, più o meno libere.
A puntare troppo asetticamente sulla bontà di ogni scelta che si ritenga libera e volendo dare per assodata la bellezza e la generosità del regalo di un figlio commissionato, non vedo allora perchè non rendere lecita la compravendita vera e propria dei bambini già esistenti, quelli già bell’e fatti, magari i più piccoli….
E ci sarebbe magari anche da parlare (e da protestare) a proposito del tema delle adozioni.
@ giuseppina la delfa . Ammiro nella tua risposta la pacatezza, e ammiro il fatto che comunque come spesso accade è la comunità gay ad accettare di confrontarsi su temi così difficili, mentre c’è un mondo dove tutto questo avviene ma nel silenzio e nell’ipocrisia. Però io non sono d’accordo quando dici che i figli delle donne portatrici non sono loro. E’ vero che l’uovo e il seme sono altrui, ma i nove mesi di gestazione non sono forse il momento fondamentale della vita intrauterina? Pensa alla fecondazione eterologa: centinaia di donne la fanno proprio per poter partorire un bambino, che proprio perchè l’hanno portato in pancia e poi messo al mondo, lo sentono assolutamente loro, spesso rimuovendo totalmente il fatto che l’uovo è arrivato da una banca dei gameti. Questo per dire, ancora una volta, che separarsi da un bambino dopo la gestazione è un fatto traumatico. Di cui quando una coppia affronta l’idea della maternità surrogata dovrebbe tenere conto, e interrogarsi se ciò che sta chiedendo e pagando è giusto o meno.
Questi argomenti erano presenti trenta e passa anni fa e lo sono tuttora, peccato però – almeno sul piano logico – che non ci sia coerenza e che tutto dipenda dal desiderio, dal diritto specifico che in quel momento si rivendica.
Ritenere che i nostri legittimi desideri debbano diventare diritti sacri è aberrante, alla luce soprattutto di questi fenomeni tristissimi e di sfruttamento come gli uteri in affitto.
E un figlio non è una torta che si dona per grande amicizia.
Molto diversa la posizione ad esempio di quelle donne che partoriscono in anonimato: c’è una gravidanza inaspettata, c’è la scelta di non abortire pur nella consapevolezza di non poter occuparsi del figlio, di mantenerlo, non c’è compravendita, in questo caso c’è forse una idea più vera di “regalo”, nella gratuità seppure nella indubbia lacerazione.
Il delirio di onnipotenza che oramai ci prende tutti e ci fa ritenere di non dover trovare ostacoli alla realizzazione di ogni nostro desiderio (e anche capriccio, diciamocelo, come nel caso di personalità famose) è devastante, mostruoso.
la genitorilità in questi casi si crea sulla responsabilità e l’intenzione. come qualsiasi altra genitorialità forte e bella. quando sento una donna portatrice orgogliosa di ciò che ha fatto e felice di avere dato la vita per altri allora questo nutre la mia sicurezza.
Io non credo che ci siano elementi equivocabili in quello che ho scritto. Ho provato a fare un prima e un dopo, perchè ritengo che nel momento in cui la surrogacy è diventata un fatto di massa, per coppie etero, gay, o per single, si è aperto un mercato senza scrupoli, in cui affaristi della fertilità promettendo maternità surrogate low cost sfruttano senza ritegno donne povere. E infatti, cari Sergio e Tommaso, io ho parlato espressamente di questo tipo di donne, di cui conosco le storie e di cui ho raccolto testimonianze. E che purtroppo stanno diventando la maggioranza delle donne che “prestano” il proprio utero. Da quanto mi risulta a nessuna donna semianalfabeta del Gujarat vengono fatti test psicologici per capire come affronterà questo evento. Non solo. Quando le “portatrici” tornano nelle loro case dopo essere state rinchiuse nelle “farm” della fertilità, spesso i mariti (che pure hanno beneficiato di quegli 8-10mila euro gudagnati con l’utero della moglie) le ripudiano, considerando quella gravidanza quasi un tradimento. E ancora: se la donna portatrice in gravidanza sviluppa un diabete, una gestosi, una volta partorita nessuno si occuperà della sua salute…
Questo per dire che c’è una bella differenza tra una donna canadese o americana che presta il proprio utero e una donna indiana, o peruviana, o altro. La povertà induce a fare qualunque cosa. Detto questo anche nelle “surrogacy” fatte nei paesi ricchi, dove si suppone che le donne possano anche scegliere di non farlo, ci sono contratti che prevedono migliaia di euro. Dov’è la donazione qui? Dov’è l’elemento oblativo, che possa farmi pensare che non si tratti comunque di un business, con tutto il rispetto per il business? Al di là del mio pensiero profondo sulla maternità di supporto, e di quanto possa soffrire una donna a dover dare via il figlio che ha portato in grembo (e non importa di chi sono uova o seme), ricordo in Italia la storia di due sorelle, in cui una aveva prestato l’utero per l’altra. Lì, l’unica voce era la solidarietà, e dunque una vera “donazione”, anche se ad anni di distanza la “portatrice” dice chiaramente di aver dovuto affrontare un lungo percorso psicologico per metabolizzare quel gesto (generoso) che però lei aveva vissuto come una perdita.
E non sono d’accordo con il parallelo, Sergio Lo Giudice, con la legge sull’aborto. Che va difesa, potenziata, e in cui l’unico elemento di decisione deve essere la libertà della donna. Non vedo il nesso con la maternità surrogata. Mentre quando parli di donazione degli organi ti dò ragione: proprio per evitare qualunque sfruttamento ogni tipo di passaggio di denaro è assolutamente vietato. Ma la “surrrogacy” no: prevede soldi, contratti, regole. Dunque non è una donazione. Che poi tra donna portratrice, e coppia ricevente (gay o etero, o madre o padre single) si instauri un rapporto, meglio così, soprattutto per la salute dei figli.
Sapevo che con questo blog avrei aperto un dibattitto. Io credo che si debba difendere la libertà, anche scientifica, di creare famiglie di ogni tipo, credo che l’eterologa sia una tecnica da difendere, credo che questo paese dovrebbe ringraziare ogni giorno la legge 194 che ha dimezzato il numero degli aborti. Ma la gestazione di supporto implica che colei che per nove mesi ha portato in grembo un bambino (e sono quei nove mesi che determinato quasi tutto nella vita di una madre e di un figlio) poi se ne separi. Francamente credo che questa sia, di fatto, una violenza. Anche se poi i genitori riceventi saranno, come spesso accade, dei genitori splendidi.
Questo è il mio pensiero. Ma sono pronta a discuterne ancora
Condivido fino in fondo la sua denuncia delle condizioni di sfruttamento a cui molte donne in difficoltà economica sono sottoposte da parte di organizzazioni senza scrupoli. Ma se lei estende questa indignazione al fatto in sé della gestazione per altri, quasi che dopo un’età dell’oro e della libera scelta sia subentrato un necessario sfruttamento, allora la confusione é massima.
Io voglio poter esprimere, per usare un’analogia, la mia condanna per lo sfruttamento senza regole del lavoro senza coinvolgere in un giudizio negativo il lavoro in sé, la cui dignitá non é scalfita dalla degenerazione dell’utilizzo improprio della fatica altrui. Voglio poter combattere senza remore il fenomeno dell’aborto clandestino, o quello dell’aborto imposto, senza mettere minimamente in discussione la libertà di autodeterminazione della donna in questa decisione. Voglio poter promuovere la pratica della donazione di sangue o di organi senza che questa venga confusa con pratiche immonde di espianto forzato.
O si distingue fra un’azione del tutto libera e consapevole e le storture di una costrizione figlia della miseria o non si aiuta a fare chiarezza. Ho conosciuto, anche direttamente, donne che hanno scelto di aiutare una coppia a realizzare il proprio sogno di genitorialitá e lo hanno fatto in piena libertà, all’interno di una relazione fatta di amicizia e affetto, di condivisione di un progetto e di soddisfazione personale. Credo che non aiuti alla più chiara comprensione del fenomeno della gestazione e per altri confondere nel giudizio queste situazione con altre che ne rappresentano,in termini di relazione umana, l’esatto opposto,
quindi vede che i punti di vista sono sempre più variegati di quanto si pensa.
Tutti parliamo di sfruttamento delle MS, ma poi chi le ha viste o ha parlato con loro, chi le ha mai ringraziate, o gli ha mai chiesto il perché lo fanno???.
No, preferiamo già costruire la nostra sentenza, analfabeti, poverissime, rinchiuse per nove mesi!!!!!!!! abbiamo condannato e siamo già à posto.
Magari, però, lavori dei quali abbiamo bisogno li facciamo fare da aziende che ci fanno spendere meno avendo gli operai in nero, senza sicurezze, e allora questo va bene non è sfruttamento, incrociamo tutte le sere prostitute in strada e non denunciamo, e questo non è sfruttamento, passiamo accanto a mendicanti in continuazione e questo non è sfruttamento, compriamo merce proveniente da paesi dove si sa benissimo che è lavorata da operai, per non dire bambini trattati come schiavi, ma risparmiamo, questo non ci interessa, si arruolano colf e badanti, queste si strappandole dalle famiglie per un tozzo di pane, ma questo non è sfruttamento.
Dobbiamo rispettare il responso della natura? allora, a cosa servono cure e trapianti??? accettiamo il responso !!!!
D’altra parte, è facile, espressa la sentenza, chiusa la pagina, i problemi sono finiti, le donne indiane o ucraine diventano agiate, nel mondo non soffre più nessuno, e stasera debbo passare a comprare il vino novello che ho la bistecca a cena!!!!
Condivido ogni singola parola dell’articolista. Se abbiamo perso senso morale, se la nostra società è davvero oramai senza guida, senza un minimo di scrupolo affermo che privati di etica gli uomini non solo non possono sopravvivere ai propri sensi di colpa ma non sono più nemmeno in grado di collaborare tra loro. Qui è la fine, anche della coppia finta inconsapevole che “ordina” l’agognato bebé.
Roberto é o é stato disperato e pronto a “provare di tutto”; pronto a tappare occhi orecchie, naso, mente, cervello. Il suo dolore egoistico é diventato cinismo crudele ed indifferente. Viene da piangere a pensare che si crede ancora un uomo. Non vedeva e non percepisce nulla. Occidentale puro: un consumista.
Peccato che tra lui e la vita ci siano altre persone che raccontano tutte altre storie diverse dai suoi piagnistei.
La gioa si gode con moderazione; il dolore si sopporta con moderazione senza abbattersi: questo é un uomo.
Scusatemi se vado sul personale ma col dolore ci lavoro da 25 anni e passa in un’associazione mondiale ed il mio settore é proprio quello internazionale-sanitario. La prima reazione emotiva è girare la testa dall’altra parte perché il dolore degli altri non si può imparare se non sapendo, guardando, condividendo. Fa abbastanza male, soprattutto nei numeri. La metto che debole come sono ho imparato a recitare la parte della colonna portante perché le malattie le violenze le indifferenze non mi sono simpatiche. Anzi forse proprio perché mi sento debole di fronte all’odio ed all’ignoranza comprendo i più deboli di me e cerco di dare una mano. Nessun sacrificio, solamente competenze. Ho visto filmati che nemmeno alle porte di Orione, per citare un film e che non potranno mai essere trasmessi da alcuna emittente. Al fine mi domando una cosa semplice semplice e mi viene in mente Se questo é un uomo di Primo Levi. Non sono ebreo e neppure israelita, a scanso di sarcastici commenti. Ma sappiamo essere ancora uomini? Sicuri?
L’infertilità è una malattia, che causa sofferenza, fisica e psicologica. Chi ne soffre (come il sottoscritto e compagna) vive per anni una situazione emotiva degradante, privazione dell’intimità, perdita dell’aspetto ludico del “fare l’amore. E’ un percorso lungo e difficle, in cui le percentuali di successo sono basse.
Quindi caro il mio bel paolino_50 provi a mettersi per una volta nei panni di chi soffre,e capirà perchè poi le persone disperate provano di tutto.
Anche io prima di capitarci ero restio….ma adesso che ci sono dentro mi chiedo…chi sono io per impedire ad un’altra persona di essere felice?
Per cui, lei ringrazi pure dio, la natura o san tutto perchè ha avuto figli senza pensare troppo alla grande fortuna che ha avuto…e per inciso, io non vorrei essere suo figlio…..