In occasione del Tdor, Transgender Day of Remembrance, che si celebra in tutto il mondo il 20 Novembre, pubblichiamo un articolo di Michela Angelini.
Il 20 Novembre vengono commemorate le vittime di omicidi transfobici che nel 2013 sono state 238 nel mondo, 1374 dal 2008 ad oggi. L’Italia con le sue 5 vittime si conferma, anche quest’anno, come primo paese del continente Europeo per omicidi di persone transessuali, pari alla Turchia cui l’anno scorso era seconda.
“È terribile e faremo qualcosa nei primi 100 giorni di governo!”, risponderebbe un mio ipotetico interlocutore politico. Non possono esistere, nel 2012, persone giustiziate con colpi di pistola, mutilate vive, picchiate fino morire di traumi interni solo perché facenti parte di una minoranza discriminata. Palese che, chiunque, condannerebbe questi atti di efferata violenza ma cos’è la violenza?
L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) definisce la violenza come “utilizzo intenzionale della forza fisica o del potere, minacciato o reale, contro se stessi, un’altra persona, o contro un gruppo o una comunità, che determini o che abbia un elevato grado di probabilità di determinare lesioni, morte, danno psicologico, cattivo sviluppo o privazione
Leggendo questa definizione mi viene da pensare ad un soggetto. Lo Stato, nella figura di medici, giudici, giuristi, avvocati, impiegati pubblici. Poi, però, mi viene da puntare lo sguardo anche sulla società che ci circonda ed includo in quella definizione massmedia, farmacisti, datori di lavoro, impiegati postali, padroni di casa. Ogni soggetto cui siamo costretti a mostrare un documento o il codice fiscale è potenzialmente artefice di transfobia. Come possiamo essere soggetti attivi e partecipi di questa società se ogni giorno subiamo danni psicologici da mal-educati cittadini e istituzioni, cui non interessa minimamente impegnarsi nel riconoscere la nostra identità e garantirci i diritti costituzionalmente dovuti a tutti gli italiani, noi compresi?
Lo Stato, nella figura di uno psichiatra di un ospedale pubblico e nella figura di un endocrinologo di un ospedale pubblico, ci consente l’avvio dell’iter di transizione prima e ci prescrive ormoni poi.
Lo Stato, tramite la legge – sanatoria 164/82 accetta che la transessualità sia una variante di genere e che, chi ne fa richiesta, debba essere assistito dal servizio pubblico nella transizione.
Questo non è sempre vero, soprattutto al sud Italia, carente di strutture con personale educato alle nostre problematiche, non è così raro incontrare professionisti che si rifiutano di ottemperare al loro dovere o rendono molto difficoltoso l’inizio del percorso. Non è transfobia questa?
L’interpretazione data alla sopracitata legge, da parte della giurisprudenza, ci permette di cambiare i documenti non quando cambiamo lineamenti del viso e forme del corpo, ma solo a seguito di interventi chirurgici genitali. Arriva, per tutte e tutti, quel momento in cui non si è più credibili nei panni del sesso che il documento indica, ma allo stato non importa. Ci costringe a vivere in società con la faccia che dice donna e i documenti che dicono uomo o con la faccia che dice uomo e i documenti che dicono donna.
Lo stato aiuta, così facendo, le persone transfobiche ad identificarci come diversi ogni qualvolta sia necessario mostrare un documento: ufficio di collocamento, lavoro, posta, farmacie, controlli delle forze dell’ordine, stipula di un contratto d’affitto, iscrizione alla palestra o quando si richiede la tessera per la raccolta punti al supermercato. Lo stato, restando in silenzio e additandoci come persone diverse, non si rende colpevole di transfobia? Come può, la sola legge contro la transfobia impedire, a chi ci sottopone a colloquio di lavoro, di scartarci con qualche scusa? Non potremmo, ad esempio, essere inclusi in una qualche categoria protetta, per facilitarci l’ingresso (e la permanenza) nel mondo del lavoro? La transfobia si combatte dando visibilità positiva alle persone transessuali e, facilitare l’assunzione, è uno tra i modi migliori di favorire l’integrazione.
Che messaggio si dà quando ci mostrano, in tv e sui giornali, solo ed esclusivamente come donne aggettivate al maschile, come fenomeni da baraccone cui non è concessa nemmeno la dignità del pronome corretto, come prostitute e consumatrici di droghe? Perché non si parla di quelle transessuali integrate nella società che contribuiscono a mandare avanti l’Italia? Quanti sanno che esistono anche uomini transessuali? Non è transfobia questa?
Quante volte, durante una causa di separazione, l’avvocato consiglia a persone transessuali (ma anche, purtroppo a persone omosessuali) di non avanzare troppe richieste al partner (anche se legittime) perché “non si sa mai che giudice si incontri all’udienza”? Non è omotransfobia questa?
Come accennavo, non per legge ma per interpretazioni della giurisprudenza, dobbiamo sottoporci ad interventi chirurgici distruttivi e ricostruttivi, disposti da un giudice, per poter avanzare richiesta, al tribunale, di adeguamento dei documenti.
Pare sia più importante aver documenti congrui ai genitali che alla faccia, ma noi non giriamo nude e nudi tra la gente. Probabilmente vi passiamo accanto ogni giorno senza che nemmeno ve ne accorgiate. Porre il focus sulla presenza o assenza di gonadi invece che sull’apparenza non è transfobia?
Avete mai pensato a chi appartiene il vostro corpo? Volendo fare una mastoplastica esagerata, tatuarvi dalla testa ai piedi, riempirvi di piercing ovunque, rifarvi naso, polpacci e glutei o chiedendo di dividere la lingua in due parti, per farla assomigliare a quella di una lucertola, verrebbe da pensare che appartenga all’individuo che lo abita. Se siete transessuali non la pensereste così. Nonostante fior fior di medici che, con visite e relazioni, dichiarano che non siamo affatto pazzi, ma che dobbiamo cambiare il nostro corpo per star bene con noi stessi e con gli altri, dobbiamo chiedere il permesso a un giudice, che autorizzerà un chirurgo ad intervenire:
Per rimuovere il seno e creare un simil pene ad un uomo transessuale (ftm) o creare una simil vagina ad una donna transessuale (mtf) serve, quindi, il benestare di un tribunale.
Dal chirurgo non è richiesto un certificato che dica che siamo capaci di intendere e di volere, ma una sentenza, che lo autorizzi a procedere, probabilmente per non essere accusato di lesioni personali. Occorrerà, quindi, un giudice che valuti la correttezza del nostro percorso di transizione avviato da medici di ospedali pubblici (già in atto quando ci si presenta in tribunale), che hanno scritto nero su bianco una diagnosi: soffriamo della differenza tra la nostra apparenza esteriore ed il nostro sentire interiore che non ci permette di vivere serenamente e, per questo, necessitiamo di cure mediche atte a far coincidere le due cose.
Per raggiungere lo stato di salute ci sarà, quindi, chi ha necessità di intervenire chirurgicamente e fare, ad esempio, di un pene una vagina, ma anche chi necessita solamente di vivere nei panni sociali del genere opposto e che non ha la minima intenzione di sottoporsi ad interventi mutilanti.
Questo giudice, la cui necessità reale non mi è ancora chiara, potrebbe leggere la documentazione fornita dal nostro avvocato, composta di relazioni di psicologi, psichiatri ed endocrinologi, tutti professionisti statali, che dicono all’unisono, che la persona portata a giudizio sta seguendo un iter medico trasparente e legale. Sarebbe troppo facile.
Il giudice prenderà tutta la documentazione medica e, senza farsi troppe domande, chiederà ad un CTU, un medico assunto dal tribunale ma pagato dalla persona transessuale, di verificare la documentazione medica fornita. L’udienza verrà così rimandata di due o tre mesi, per dare tempo al perito di indagare sul percorso di transizione.
Cosa dovrei pensare quando vengono date motivazioni del tipo “verificare se è veramente questa la strada migliore da percorrere”, come giustificazione all’imposizione di tecnico di parte? Devo pensare che un rappresentante della giustizia italiana non si fidi di un team di medici della sanità pubblica italiana? Vorrei poi sapere, visto che si chiede se la chirurgia sia la strada migliore da percorrere, quali possano essere le possibili alternative per una persona che, come minimo, prende ormoni da un anno al momento della prima udienza.
Questo ipotetico giudice costringerebbe, forse, un ragazzo FtM a vivere per sempre con il seno, producendo “l’effetto donna barbuta del circo” ogni volta che, questo, si trova in contesti sociali? Decreterebbe, forse, che i medici che hanno condotto questa donna a diventare uomo si son sbagliati, imponendo di assumere estrogeni per tornare come prima? Quali competenze ha un giudice del genere per valutare se far procedere o meno una persona transessuale nel percorso di transizione?
Richiedere una verifica, inutile, a spese della persona transessuale, riguardo il lavoro fatto da medici statali non è transfobia?
Poi c’è l’ultimo grave atto di violenza sociale. Ad oggi, sono state autorizzate persone al cambiamento dei documenti solo a seguito di avvenuta sterilizzazione per rimozione chirurgica degli organi genitali, maschili per le MtF o femminili per gli FtM, ad esclusione di un unico caso dove, però, la sentenza sottolinea che anni di terapia con androcur (il farmaco che, oltre ad abbassare i livelli di testosterone, distrugge le cellule testicolari) sono ragionevolmente sufficienti per essere sterile.
Non è transfobia costringere una persona alla sterilizzazione? Non è transfobia negare il cambio di documenti, ad inizio terapia, costringendo le persone transessuali ad anni di stigma sociale, in una società che lo stato non educa alle diversità? Non è transfobia far firmare un consenso informato che ci avvisa della probabile sterilità, data dalla terapia ormonale, invece di indicarci come conservare i gameti?
Ecco qua la transfobia legalizzata, quella continua violenza psicologica ed esclusione sociale prodotta dal nostro stato menefreghista, perpetuata ai danni del gruppo dei e delle transessuali. Prima, ci nega la dignità di aver documenti conformi al nostro essere, rendendo difficoltoso l’accesso al lavoro e amplificando lo stigma sociale di tutte quelle persone che incrociano i nostri documenti. Poi, vestendo la toga di un giudice, decide se autorizzare o meno un chirurgo ad intervenire sul nostro corpo. Infine, nei panni di una giurisprudenza basata sul pregiudizio, ci costringe ad essere sterilizzati per adeguare i documenti, anche se non sentiamo la necessità di sottoporci a chirurgie distruttive.
Il costo di questa violenza, alla faccia della gratuità del percorso, tra terapia, psicologi, relazioni psichiatriche, perizie di parte e spese legali può arrivare anche a 15.000 euro.
Reputo lo Stato primo soggetto da denunciare al varo di una legge che punisca la transfobia, perché colpevole di alimentare la violenza nei nostri confronti quando dovrebbe essere al nostro fianco, come garante della nostra salute.
Trans FtM (da femmina a maschio): nascere nel corpo sbagliato, alla scoperta del percorso della transizione
di Ilaria Stradoni
In Italia il tema della transessualità generalmente è poco trattato. Si tende ad ignorare ciò che non si comprende a fondo o ciò che sembra strano e fuori dall’ordinario. Se in qualche maniera, soprattutto tramite i media, la transizione MtF (da maschio a femmina) è venuta alla luce, dei trans FtM (da femmina a maschio) si sente molto poco parlare. Abbiamo parlato con tre ragazzi trans FtM. Filippo, 30 anni: «Ho fatto due interventi in un giorno solo, mastectomia e isterectomia(asportato utero e ovaie). Sto aspettando i documenti e sono in attesa dell’ ultimo intervento di costruzione genitale». Alessandro, giovanissimo, 18enne ma con le idee ben chiare: «Ho fatto un anno di psicoterapia al privato e quattro sedute con le psicologhe di Careggi a Firenze. Ho avuto l’ok per la terapia ormonale e il 20 settembre ho l’incontro con l’endocrinologa. Sono solo all’inizio, è un percorso abbastanza lento e molto lungo». Alex, 37 anni, bolognese. Abbiamo rivolto loro qualche domanda per saperne di più sull’argomento.
- Quando ti sei reso conto che il tuo corpo esteriormente non rispecchiava il tuo essere interiore? Come è stato? L’hai subito accettato? Con chi ne hai parlato?
Filippo – Già dalle elementari. Giocavo sempre con i maschietti anziché con le femminucce, ero interessato di più ai giochi considerati maschili, mi identificavo nei personaggi dei cartoni animati di sesso maschile. Inoltre volevo imitare i gesti tipicamente maschili, invidiavo mio nonno mentre si faceva la barba e speravo di diventare grande e poterlo fare anche io, oppure tentavo di urinare in piedi invece che da seduto, gesti che mi venivano puntualmente corretti da mia madre. Guardavo la mia intimità sperando che crescendo diventasse come quella maschile. È stato tremendo perché negli anni 80/90 non c’era informazione come ora. A quei tempi sapevo che esistevano solo le trans che da uomini diventavano donne e che si prostituivano. Anche del mondo omosessuale conoscevo poco: pian piano mi sono reso conto che nemmeno la realtà lesbica faceva per me, perché le lesbiche amano se stesse e la femminilità dei loro corpi. Invece per me era diverso; io odiavo ogni parte del mio corpo femminile, che imprigionava la mia vera identità. Ne parlai la prima volta con la mia migliore amica e successivamente mi confidai con una trans. Da lì appresi che la transizione poteva avvenire anche per me, che da donna potevo diventare uomo. Tramite questa transessuale conobbi un ragazzo trans FtM che mi indirizzò per iniziare il mio percorso.
Alessandro – I primi ricordi del mio disagio risalgono all’età dello sviluppo (11/12 anni), in cui avvertivo che il mio corpo stava cambiando e assumendo sempre di più caratteristiche femminili. È stato del tutto naturale sentirmi appartenere alla sfera maschile e accettare il mio essere, nonostante le difficoltà che si incontrano in questo percorso. La prima persona con cui mi sono confidato a 11 anni è stata mia madre, che però non ha preso subito con serietà la cosa pensando che il mio sentirmi maschio fosse solo un momento passeggero.
Alex – Io me ne sono accorto da molto piccolo ed ho subito manifestato disagio, anche se non sapevo attribuire un nome alla cosa. Direi all’asilo. Ho provato a parlarne coi miei, ma non mi hanno preso sul serio e non mi hanno assecondato.
- Da dove inizia il percorso della transizione? Quali sono i primi passi da fare? Quali e quanti sono gli step per raggiungere il cambiamento di sesso? A chi bisogna rivolgersi?
Filippo – I primi passi da fare sono contattare consultori, MIT (Movimento Identità Transessuale) oppure ospedali specifici. Si procede con svariate sedute psicologiche: quando ci si sente abbastanza pronti e lo psicologo dà il via libera, ci si sottopone agli ultimi test e lo psicologo prepara una relazione nella quale si confermi una D.I.G (Disturbo Identità di Genere).Una volta ottenuta la relazione si può andare dall’endocrinologo, che stabilirà una giusta terapia farmacologica da seguire e relative analisi del sangue di monitoraggio. La relazione psicologica serve anche per avviare la pratica dall’avvocato. Da qui iniziano due percorsi: uno ormonale e uno legale. Quello legale è il più complesso perché dalla prima firma fatta per avviare la pratica ci vogliono circa sei mesi per la prima udienza. Può capitare che il giudice richieda un’ulteriore visita psichiatrica, in questo caso si dovranno aspettare altri sei mesi prima di avere la sentenza per l’intervento. Solo dopo la sentenza ci si può mettere in lista nei vari ospedali. A questo punto tocca solo aspettare il proprio turno. Dopo l’intervento devi richiedere la cartella clinica e quando l’hai ottenuta portarla dall’avvocato e firmare il mandato per richiedere i documenti, qui ci vogliono altri sei od otto mesi.
Alessandro – Non c’è un momento preciso in cui il percorso ha inizio, il desiderio di andare incontro alla transizione è cresciuto con il tempo dentro di me. Il primo passo da fare è quello di rivolgersi ad un centro specializzato che si occupa di disforia di genere, dove poi iniziare una serie di incontri con psicologo/a e psichiatra, successivamente viene rilasciata da loro la perizia per l’inizio della terapia ormonale, dopo di che ci si rivolge ad un medico endocrinologo che prescriverà la terapia ormonale. Successivamente ci si rivolge ad un avvocato per richiedere al tribunale l’accesso agli interventi e dopo gli interventi demolitivi (solitamente è sufficiente aver effettuato solo l’isterectomia = rimozione di utero e ovaie) avviene la rettifica dei dati anagrafici.
Alex – Per alcuni inizia dalla presa di coscienza, per me è iniziato da quando ho incominciato ad intraprendere l’iter per il cambiamento. Mi sono rivolto a psicologi ed endocrinologi. Primo step: psichiatra infantile, secondo step: psicologa e psichiatra, terzo step: endocrinologo, quarto step: relazione endocrinologo, perizia psichiatrica ed istanza in tribunale via avvocato, quinto step: mastectomia da privato, sesto step: isterectomia c/o Asl, settimo step: reperimento cartelle cliniche dei due interventi e seconda istanza in tribunale via avvocato, ottavo step: cambio dei documenti.
- Il testosterone provoca dei cambiamenti sul corpo, è sempre facile accettarli? Anche l’umore ne risente?
Filippo – I primi cambiamenti che l’assunzione del testosterone ha provocato sul mio corpo sono stati l’apparizione di brufoli sul viso, la modifica della voce, il blocco del ciclo mestruale, la comparsa di peli sul viso e sul corpo, aumento di qualche centimetro al clitoride, leggero svuotamento del seno. I lineamenti del viso diventano più rigidi e la pelle da liscia e delicata diventa ruvida e grassa, anche i muscoli prendono forma. Questo genere di cambiamenti mi ha provocato una grande soddisfazione e gioia, ho iniziato a guardarmi di più allo specchio, prima era un gesto che evitavo di fare. Il desiderio della transizione è talmente forte che la paura del “chissà come diventerò” scompare, io mi sono subito accettato senza timore. L’umore ne risente tantissimo, un po’ per i testosterone in sé che aumenta la libidine e l’aggressività che si manifesta soprattutto all’inizio quando il corpo non è abituato alla dose, un po’ per l’impazienza di vedere i cambiamenti . Io ero molto ansioso.
Alessandro – Ebbene sì, è facile accettarli perché i cambiamenti che portano ad avere un aspetto più maschile è la gioia più grande per una persona che ha questo disagio. Si può andare incontro anche a sbalzi dell’umore, ma questo non si verifica in tutte le persone.
Alex - Ho cercato i cambiamenti e li ho accolti con gioia, l’umore nel mio caso ne ha giovato.
- Come hanno reagito le persone vicino a te (amici, famiglia) alla notizia del tuo voler cambiare sesso?
Ryan Sallas, transessuale FtM
Filippo – La mia famiglia ora è composta da zii e zie perché i genitori non li ho più. Prima che mio padre morisse gli parlai di me e della situazione in cui mi trovavo, e non l’aveva presa male, aveva molta paura che avrei sentito dolore negli interventi chirurgici. Alle mie zie ho parlato di me molto tardi, le ho fatte radunare tutte e le ho portate dallo psicologo del consultorio che mi seguiva e lì ho spiegato cosa mi stava accadendo. A dire la verità una zia mi chiama ancora al femminile nonostante io abbia la barba, è una testa dura ma nel complesso non posso lamentarmi. Le paure erano tante, che mi buttassero fuori di casa ad esempio, invece sono state comprensive e mi sono rimaste vicino anche se erano preoccupate di ciò che mi aspettava in futuro. Le amicizie che avevo perso anni prima a causa di un mio isolamento sono ritornate. Ora siamo legati forse anche di più.
Alessandro – In famiglia non è stato facile far capire il mio essere a mia madre; ma, nonostante il dolore che lei può provare, mi sta aiutando molto. Devo ammettere che la persona che non ha mai cercato di cambiarmi o impedirmi di essere me stesso è stato mio padre, anche se fino a qualche mese fa i rapporti con lui non erano dei migliori. Con gli amici il mio coming out è avvenuto quest’anno a scuola; in alcuni di loro è nato un interesse verso il percorso e sono felice di non essere stato giudicato in malo modo per quello che sono.
Alex – Gli amici mi hanno supportato abbastanza, la famiglia no. In particolare ho trovato forte opposizione materna.
- Quali sono invece le reazioni delle persone estranee? Ti è mai capitato di essere considerato un “mostro”? cosa avresti da dire a chi la pensa così?
Filippo – Dalle persone estranee ho riscontrato vari comportamenti: alcune erano molto comprensive, mi rassicuravano e trattavano come Filippo; altre l’opposto. Mi trattavano come se fossi malato e non comprendevano il mio disagio, mi criticavano e mi parlavano al femminile solamente perché non rispecchiavo i loro canoni estetici e morali che avevano del maschio. Io stesso quando ero più piccolo e ignorando esistesse il transessuale FtM, mi consideravo un mostro credendo che non si potesse risolvere il malessere interiore che provavo e che mi faceva così soffrire. Durante il percorso di transizione sono rinato e ho capito che chi si trova intrappolato in un corpo che non sente appartenergli non deve sentirsi un mostro. Siamo esseri umani, è il 2012, le informazioni ora sono migliorate. Chi si sente nato nel corpo sbagliato non deve nascondersi ma anzi dovrebbe vivere allo scoperto. Non ci si deve sentir soli, persone come noi ci sono, esistiamo! Chi ancora pensa che i transessuali siano dei mostri non ha capito niente di come si soffra psicologicamente durante il percorso difficile da affrontare.
Alessandro – Con le persone estranee non ho avuto molti problemi. A volte capita che mi chiedono quale sia il mio sesso o che mi ridano in faccia per la strada solo perché hanno sentito dire da terzi che sono un transessuale. Alle persone che non comprendono o che ridono per quello che sono vorrei solo dire che non pretendo di essere accettato da loro ma è giusto che il mondo esterno veda in me prima di tutto “una persona” con dei diritti e dei doveri come chiunque altro.
Alex – Le persone estranee non ci hanno mai capito molto. Reazioni brutte non ne hanno avute, se non quando ero molto giovane. “Mostro” non me l’ha mai detto nessuno, delle due l’ho pensato io di me. Certo il pensiero diffuso del “né carne , né pesce” l’ho sentito fare, ma non diretto a me. Non so cosa potrei dire, bisogna trovarsi nella situazione per capire e comprendo che il diverso spaventi molto, oggi più di ieri.Questa è un’epoca di omologazione e di forti incertezze, il transessualismo potrebbe essere percepito come destabilizzante.
- Il sentirsi nel corpo sbagliato va di pari passo con l’essere omosessuali? Mi spiego meglio, quanto influisce l’orientamento sessuale sulla decisione del cambiamento di sesso? Provi attrazione anche per gli uomini?
Filippo – Il cambiamento di sesso non centra niente con l’orientamento di sesso, sono due cose diverse. Non è che se cambio sesso allora cambio i miei gusti sessuali. Non ho mai pensato di avere una relazione con un uomo, non mi interessa proprio.
Alessandro – Tengo a precisare una cosa molto importante: ci sono due cose ben differenti, una è il sesso al quale senti di appartenere e l’altra è il sesso verso il quale provi attrazione. Queste due caratteristiche non si influenzano assolutamente tra di loro. Io provo attrazione solamente per le donne.
Alex – Non va assolutamente di pari passo. Non ho avuto una vita omosessuale precedente all’ iter di cambiamento, non avrei mai potuto. Io mi sentivo uomo al di là delle preferenze sessuali, ho incominciato a sentirmici molto prima di provare attrazione per chicchessia. Gli uomini li ritengo affascinanti, mi piace il loro corpo, è ciò che vorrei raggiungere. Non mi fa schifo fare sesso con un uomo ma non mi innamoro di uomini.
- Come ti rapporti con le ragazze? Hai/hai avuto difficoltà con loro?
Filippo – Con le ragazze mi rapporto come Filippo, mi rapporto come amico. Per ora non mi interessa cercare storie o avventure, sto smaltendo la delusione di un amore finito e in questo periodo preferisco starmene per conto mio o con amici. Le difficoltà le trovo ora perché iniziando un nuovo rapporto dovrei raccontare della mia storia e sperare che la ragazza in questione non scappi via e mi capisca, credo non sia facile. Molte volte mi faccio io stesso dei blocchi mentali anche perché mi sento incompleto e non del tutto a mio agio.
Alessandro – Con le ragazze non ho avuto difficoltà ma è stato necessario spiegare e fare capire loro il mio percorso. La difficoltà, per molti di noi, è essere accettato dalla famiglia della propria ragazza (o ragazzo), ma per fortuna ho sempre trovato persone che hanno compreso.
Alex – Con le ragazze provo a rapportarmi con naturalezza, ma ho avuto maggiori difficoltà. Sono sempre piaciuto di più ai maschi. Credo anche che i maschi abbiano una maggior apertura rispetto al genere femminile, forse perché più “sessuali” e meno “pensanti”, è una mia opinione.
- Agli occhi dello stato italiano i transessuali che diritti hanno? Da quando si viene riconosciuti ufficialmente uomini? Come si procede per il cambiamento del nome, qual è il percorso burocratico?
Filippo – I diritti dei transessuali non esistono, per esempio per essere assunto in un posto di lavoro devi mostrare i documenti e capirai bene il disagio di questo atto se non si è ancora fatta l’operazione. I nuovi documenti maschili arrivano solo dopo aver fatto l’intervento di isterectomia e questo richiede un bel po’ di tempo. Lo ritengo un fatto molto ingiusto.
Alessandro – Negli ultimi tempi in Italia per avere il cambio del nome e del sesso sui documenti è necessario aver fatto l’isterectomia, ossia l’intervento che prevede la rimozione di utero ed ovaie. Dal momento che avviene il cambio dei documenti, per lo stato, siamo uomini a tutti gli effetti e ci vengono riconosciuti tutti i diritti.
Alex – Agli occhi dello stato i transessuali hanno gli stessi diritti degli altri. Poi in realtà in molti casi non è così, perché al di là delle leggi dello stato, la gente che ha a che fare con noi sono persone e regna ancora molto pregiudizio. Si viene riconosciuti come uomini dallo stato nel momento che si è ottenuto il cambio di sesso anagrafico in tribunale. Una volta effettuati gli interventi demolitivi ( mastectomia ed isterectomia) ci si reca dall’avvocato che provvederà a fare istanza presso il tribunale di riferimento per la rettifica anagrafica. Una volta emessa sentenza favorevole ed una volta che questa è passata in giudicato, con copia della medesima, si possono avere i nuovi documenti.
- Come ti adoperi per cambiare ciò che ti sembra ingiusto?
Filippo – Mi sembra ingiusto che si debbano obbligatoriamente fare certe torture di castrazione e psicologiche, aspettare anni per avere un documento maschile e un corpo simile a quello biologico maschile. Penso che sia più giusto abbreviare i tempi ed essere noi a scegliere se castrarci oppure no, per esempio fare l’inverso: prima i documenti e dopo l’intervento o anche tutti e due insieme, ma sempre in tempi brevi.
Alessandro – Al mondo di oggi ci sono tante e troppe cose ingiuste, ma non mi riferisco solo al percorso di transizione, ci sono tante persone che purtroppo subiscono ingiustizie, ognuno di noi dovrebbe cercare di far valere i propri diritti sempre rispettando gli altri. Io, ad esempio, cerco di spiegare a chi mi circonda del motivo per cui sto facendo questo percorso; alla fine il dialogo è il mezzo migliore per far comprendere qualcosa.
Alex – Non mi adopero attivamente insieme ad associazioni. Nel mio piccolo spiego a chi vuole ascoltare e do supporto a chi si trova in difficoltà.
- Sei credente? Se sì la chiesa ti tutela? In che modo? Pensi che la presenza della chiesa sul suolo italiano contribuisca alla chiusura e al bigottismo dello stato?
Filippo – Io non sono credente, la Chiesa secondo me complica la vita non solo alle persone omosessuali, lesbiche e transessuali ma anche persone etero. La Chiesa ci sarà sempre, però dovrebbero evitare di influenzare le persone dicendo cose negative sul mondo LGBTQ. Oltretutto, prima di giudicare e sentenziare, dovrebbero pensare al marcio che c’è al loro interno, tra i preti pedofili e le suore che maltrattano i bambini.
Alessandro – Sì , sono credente, ma più che nella Chiesa, io credo nel bene che ognuno ha dentro di sè. La chiesa non accetta molto le persone omosessuali e le persone transessuali e non ho mai capito il motivo di questo perché se secondo la chiesa siamo tutti figli di Dio non vedo perché debbano vederci come persone “innaturali”. Penso che la chiesa influisca molto sullo stato italiano ma la speranza che le cose possano un giorno migliorare non muore mai.
Alex – Questo è un tasto dolente. Sono credente, ma la Chiesa non appoggia. La Chiesa comprende il disagio, ma non riconosce il cambiamento (il certificato di battesimo non viene cambiato, se si è stati battezzati come femmine, per la chiesa si sarà sempre femmine). Certamente la Chiesa, ma soprattutto la presenza del Vaticano, contribuiscono alla chiusura mentale ed all’arretratezza del paese in tema LGBT.
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